Cronaca / Bergamo Città
Domenica 24 Novembre 2019
«Ha rubato la mia vita, era un incubo»
Vittima di stalking, dieci mesi di terrore
Lunedì 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La testimonianza di una vittima di stalking che risiede nella Bergamasca.
«Un biglietto firmato lasciato sul parabrezza dell’auto e la mia vita è cambiata. Per dieci lunghi mesi la spensieratezza dei 25 anni ha lasciato posto a paura e angoscia. Inquietudine e insicurezza. Io, prigioniera del mio stalker, che ha trasformato la mia vita in un incubo. Perché quando una persona ti perseguita, non hai spazio per pensare ad altro. Il tuo cellulare squilla centinaia di volte e quel suono ti fa perfino venire il vomito. Tu sei il suo pensiero fisso e lui diventa il tuo. Non dormi più. Non vivi più. Hai paura della tua stessa ombra perché sai che può sbucarti davanti da un momento all’altro e non sai cosa potrebbe scattare nella sua mente. Il pensiero fisso è che possa farti del male. E così vivi le tue giornate in scacco al tuo stalker.
Lui era sempre lì – al lavoro, sotto casa, al centro commerciale, al parcheggio, al bar – a farmi capire che non me ne sarei mai liberata. In me un senso d’inquietudine e insicurezza costanti. Vivi così quando una persona decide di voler parte della tua vita a ogni costo anche se non vuoi. Eppure io di questa persona non sapevo quasi nulla. L’avevo incontrata al lavoro, ma non ne conoscevo nemmeno il nome. Eppure era riuscito a procurarsi il mio numero di telefono. Nei messaggi complimenti e domande sul perché non volessi avere a che fare con lui. «Perché mi eviti? Cosa ti ho fatto? Non voglio farti del male. Non avere paura». Ma io paura ne avevo perché i messaggi erano sempre più insistenti e numerosi. Non accettava il mio rifiuto. Anzi, più lo tenevo a distanza, più diventava pressante.
Sono iniziati gli appostamenti. Prima al parcheggio all’uscita del lavoro. Poi ovunque. Con il passare dei giorni, i messaggi diventavano inquietanti. Era riuscito a recuperare il mio indirizzo e quando mi scriveva mi faceva capire di trovarsi sotto casa mia. Tutti i giorni pedinamenti, appostamenti e messaggi, uno dopo l’altro, in una catena ininterrotta di parole spesso senza senso. «Non posso stare senza di te. Sei la mia vita». Arrivava perfino al punto di minacciare di suicidarsi se non avessi risposto ai suoi messaggi: «Senza te la vita non ha senso. Meglio morire».
Ma a non vivere più ero io, che non potevo più uscire da sola perché mi seguiva ovunque andassi. Immaginate un pomeriggio di shopping in un centro commerciale e lui che vi segue a distanza. O una passeggiata in centro per una fiera e lui che, facendosi largo tra la folla, vi appare all’improvviso di fronte. Vi assale il panico. Immobili pensate a tutte le cose più brutte che potrebbero capitarvi. Ho smesso di andare al lavoro e mi sono rivolta ai carabinieri. Gli hanno intimato di starmi lontano, ma ha continuato a perseguitarmi, se possibile, in modo ancora più morboso. Sapevo che poteva accedere alle armi e questo mi toglieva il respiro. La notte, se e quando riuscivo a chiudere occhio, mi svegliavo di soprassalto, accendevo la luce e aprivo le finestre in preda al panico in cerca di aria.
L’ho denunciato. I carabinieri controllavano casa mia. Non so dire se la sirena accesa mi tranquillizzasse o mi ricordasse ulteriormente quanto insicura fosse la mia vita in quel momento. Diceva che niente l’avrebbe tenuto lontano da me, pur sapendo di non potersi avvicinare. Ma nel momento in cui ho pensato che non sarebbe mai finita, ha smesso di perseguitarmi e lentamente sono tornata padrona della mia vita. Purtroppo non ha pagato perché allora non esisteva la legge contro lo stalking che oggi tutela le donne perseguitate come nel mio caso. A me restano tante paure: tremo se qualcuno si accosta in auto, mi guardo alle spalle e nella folla spero di non riconoscere quel volto.
Qualcosa però ha perso anche lui. La moglie, dopo anni di maltrattamenti che l’avevano anche costretta al ricovero in ospedale, ha trovato il coraggio di andarsene da casa con il figlio, nonostante lui l’abbia minacciata di portarglielo via. Anche loro non dimenticheranno mai, ma almeno oggi vivono sereni».
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