Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 04 Dicembre 2024
Giudici di pace all’osso: sono in 8 sui 21 previsti, con diecimila casi aperti
GIUSTIZIA. Il reportage dalle aule di via Sant’Alessandro: rinvii anche al 2026. «Siamo sommersi». Digitalizzazione? «Qui si verbalizza ancora a mano». L’approfondimento su L’Eco di Bergamo di mercoledì 4 dicembre.
Udienze rinviate in media anche a distanza di un anno – quando non addirittura due – competenze in continuo aumento, organici sottodimensionati e una continua corsa contro il tempo per smaltire il lavoro arretrato. Il lavoro dei giudici di pace a Bergamo racconta di un numero di fascicoli aperti contemporaneamente sul tavolo che variano tra gli 800, 900 o anche mille o più per ciascun giudice, con un totale di quasi 10mila pratiche da trattare e un personale ridotto all’osso per occuparsi di tutti quei procedimenti penali o civili di valore economico «minore», che rappresenta tuttavia il mare magnum della domanda di giustizia. Un quadro aggravato dalla riforma Cartabia, con la quale è entrato in vigore un aumento della competenza per valore del giudice di pace, passata per le liti relative a beni mobili da 5mila fino a 10mila euro e per le controversie in materia di risarcimento dei danni da sinistri stradali da 20mila a 25mila euro.
«Rinvii anche al 2026»
Basta passare una mattinata nell’ufficio di Bergamo, in via Sant’Alessandro, per rendersi conto della situazione. È un via vai di cittadini, personale della cancelleria, collaboratori, avvocati e - un po’ meno - di giudici. Sono infatti 8 in questo momento (5 per il civile e 3 per il penale) a fronte di una pianta organica di 21 giudici previsti dal Ministero. Un carico di lavoro a tratti soffocante, come mostrano i faldoni che riempiono scrivanie e scaffali e come confermato dagli stessi giudici. «L’ufficio di Bergamo è sotto organico e siamo sommersi di lavoro – spiega la giudice Cristina Cremonesi –. Da un lato mancano i giudici e dall’altro, con la legge Cartabia, i numeri di alcuni procedimenti sono in crescita, come i ricorsi per l’emissione di decreti ingiuntivi, cioè per il recupero di un credito nei confronti di un debitore, aumentati del 50%. E il punto è che non siamo esclusivisti, molti di noi, come la sottoscritta, sono anche avvocati». La legge richiede due giorni a settimana di lavoro, ma la pratica è ben diversa. «Siamo pagati, peraltro pochissimo, per fare i giudici 2 giorni a settimana, ma la realtà è che lavoriamo 4/5 giorni, a volte sabato e domenica compresi. I numeri sono talmente alti che non riusciamo a starci dietro. Facciamo quello che possiamo».
Il lavoro del personale amministrativo è ammirevole, al netto della scarsa digitalizzazione degli uffici. «Ora abbiamo una cancelleria che funziona, il personale si dà molto da fare» dice Cremonesi. Ma non basta, i tempi rimangono lunghi. «Alcuni colleghi hanno rinviato le udienze al 2026. Io cerco di non fare rinvii troppo in là nel tempo, mi faccio molti scrupoli perché mi rendo conto che è un disagio per gli avvocati e i clienti e quindi riempio il più possibile l’agenda, ma al momento per il 2024 è tutta occupata e sto fissando i rinvii a marzo 2025. La legge - specifica - stabilisce ad esempio che per una domanda di risarcimento danni il giudice dovrebbe fissare l’udienza entro 5 giorni, ma in realtà riesco a lavorare i nuovi fascicoli dopo mesi».
«Per decidere se una lesione personale lieve sussiste o meno ci possono volere anche 6 udienze. Tra un’udienza e l’altra, dove tra l’ascolto della persona offesa e quella successiva in cui vengono sentiti i testi, passano anche dai 9 ai 12 mesi»
Il poco tempo a disposizione crea dunque udienze «spezzettate», come spiega il presidente della Camera penale di Bergamo, l’avvocato Enrico Pelillo. «Per decidere se una lesione personale lieve sussiste o meno ci possono volere anche 6 udienze. Ma il problema che riscontriamo sulle tempistiche non riguarda tanto la distanza tra la notizia di reato e la prima udienza, quanto tra un’udienza e l’altra, dove tra l’ascolto della persona offesa e quella successiva in cui vengono sentiti i testi, passano anche dai 9 ai 12 mesi. Il dibattimento diventa quindi molto più lungo e farraginoso di quello in Tribunale, dove si ha a disposizione la stenotipia». Il riferimento è alla possibilità di registrare le sedute in aula e di ottenere il verbale attraverso la sbobinatura. «Evidentemente dal giudice di pace non ci sono i denari per disporre di questo servizio e quindi serve un cancelliere che succintamente verbalizzi quanto detto. Una testimonianza che in Tribunale dura 10 minuti, dal giudice di pace ne dura 50. Il cancelliere deve fare un lavoro abnorme, da amanuense, ma la celerità varia anche a seconda della persona: se è svelto a digitare sulla tastiera o scrive a mano». Sembra assurdo nel 2024, eppure è così. «È chiaro - dice Pelillo - che un numero così alto di udienze per risolvere una questione facilmente dirimibile fa scemare la fiducia del cittadino nella giustizia».
De Sapia: «Servono rinforzi»
Il presidente del Tribunale, Cesare de Sapia, conferma lo stato della situazione a Bergamo. «Il problema dipende dall’aumento dei compiti che sono stati attribuiti dalla recente riforma ai giudici di pace e dall’organico carente del 75% circa. Alcuni nostri giudici onorari del Tribunale da qualche anno sono applicati al giudice di pace, a rotazione, senza esonero dal loro lavoro in Tribunale, ma anche queste applicazioni non sono state risolutive. Soltanto con l’assegnazione di nuovi giudici di pace la situazione potrebbe migliorare». La denuncia arriva anche dall’Apf, l’Associazione provinciale forense. «La situazione è in continuo peggioramento, nonostante le grida d’allarme lanciate all’unisono dagli Ordini e dalle associazioni di categoria nulla è migliorato – sottolinea la presidente Stefania Baranca –. Il legislatore continua ad assumere provvedimenti parziali, senza consultare l’avvocatura e senza intervenire sull’organizzazione della giustizia, come sta avvenendo con la sanità. Ma a differenza della sanità non si può demandare al privato. La giustizia - conclude - non può essere sostituita».
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