Già sperimentata questa vita sospesa
«Ma nelle amiche la chiave di volta»

Claudia Guarneri, malata di tumore al seno, racconta come ha affrontato l’isolamento per l’intervento e le cure.

«Chiudi la porta, cambia musica, rimuovi la polvere. Smetti di essere chi eri e trasformati in chi sei» scrive il brasiliano Paulo Coelho nel romanzo «Lo Zahir». Ed è questa la strada che ha seguito Claudia Guarnieri, di Ciserano, da quando ha scoperto il tumore al seno: cambiare aspetto, cambiare pelle, ma senza rimpianti. Un bruco che si trasforma in farfalla, accetta, perché questo avvenga, la fine del suo mondo e così è stato per lei, estetista «sempre di corsa», che dopo l’intervento e le terapie, ha dovuto sospendere il lavoro e gli studi di specializzazione per diventare personal trainer e si è ritrovata per mesi «chiusa in una bolla», finché ha deciso di reinventarsi come volontaria accanto ad altre persone malate come lei: «Noi malati di cancro – spiega – abbiamo già sperimentato questa vita sospesa in cui ci troviamo tutti a causa del covid-19. Ci è già capitato di non poter uscire di casa per colpa delle terapie, dei livelli bassi di globuli bianchi, dei problemi di salute. Da questo punto di vista, forse, siamo partiti con un vantaggio: eravamo preparati».

Divisa per il caso Codogno

In queste settimane l’epidemia l’ha costretta alla solitudine, separata anche dal suo compagno Gianluigi, che lavora a Codogno, colpito nei suoi affetti più cari: «Ci siamo trovati in una situazione terribile – osserva Claudia –, speriamo davvero che sia arrivato il momento della svolta. Si impara molto anche dai momenti negativi e si può uscirne migliori, è capitato a me con la malattia, può capitare a tutti in questo periodo così triste».

Claudia ha scoperto il tumore nell’autunno del 2018: «Mi avevano diagnosticato una cisti sul lato sinistro del seno, secondo il medico era benigna, ma mi dava fastidio e mi ero insospettita. Lo specialista mi ha prescritto un’ecografia, ma era dicembre, c’erano di mezzo le feste natalizie e prima di gennaio non c’era posto. Nel frattempo, però, mi sono accorta che il mio seno incominciava a cambiare». Ha intuito che era urgente approfondire, e ha avuto la fortuna di avere vicino amiche pronte ad aiutarla: «Una di loro aveva avuto una situazione analoga in famiglia, e mi ha indirizzato al dottor Massimo Maria Grassi, direttore dell’Unità di Senologia e Responsabile della Breast Unit all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Mi ha ricevuto in tempi brevissimi e visitandomi ha subito capito che la mia non era una ciste e che la situazione era seria. Sono tornata a casa confusa e addolorata, senza sapere di preciso come procedere, ma poi nel giro di due giorni ho fatto l’ago aspirato e la mammografia. In dieci giorni è arrivato il primo esito ed è risultato che si trattava di un tumore ormonale. Venti giorni dopo la prima visita sono stata sottoposta all’intervento, che è durato parecchie ore». Quando Claudia si è risvegliata ha pianto: «È stato un momento doloroso. Quando è arrivato l’esito dell’esame istologico è risultato che avevo tre carcinomi disseminati in tutto il seno e che avevano provocato metastasi in 29 linfonodi, me li hanno asportati tutti. All’inizio sono crollata, mi sentivo ferita e devastata dall’ansia. La ripresa dall’intervento è stata lenta, ed ero preoccupatissima delle possibili metastasi».

Curata con attenzione

Poi è arrivato il momento delle terapie e dei farmaci: «Mi rendo conto di essere stata fortunata: fino a qualche anno fa un tumore come il mio sarebbe stato considerato incurabile, oggi non è più così. All’Humanitas Gavazzeni ho trovato competenza, umanità, persone sempre disponibili a rispondere a domande e dubbi, come il senologo Francesco Valenti e l’infermiera Iulia Vlacis, professionisti di grande sensibilità».

Il percorso di cura di Claudia non è stato semplice: «Anche la radioterapia, che normalmente è la parte meno faticosa, mi ha causato un problema inaspettato di irritazione della pelle, fino a provocare gravi ustioni. Sono tornata di colpo ai primi tempi dopo l’intervento. Sentivo dolori acutissimi, non potevo muovermi. Dicono che la vita ti porti quello che sei in grado di sopportare, ma è stato un momento drammatico per me». A pesare sull’umore di Claudia c’era anche la sua storia familiare: «Mia madre è morta di tumore ai polmoni qualche anno fa, quindi è stato ancora più difficile seguire quel percorso. A un certo punto ho dovuto decidere: lasciarmi andare alla disperazione oppure reagire, ricominciare a sorridere. Poi mi sono stupita di me stessa, di quanto sia riuscita a essere forte».

Con «The bridge for hope»

Grazie a The Bridge for Hope, l’associazione diretta da Serena Panzeri, e all’attività di estetica oncologica avviata all’Humanitas-Gavazzeni, ha ricominciato a prendersi cura di sé: «Ci insegnavano qualche trucchetto per imparare a farci belle. Non era facile guardarsi allo specchio e trovarsi menomate in tanti modi, senza capelli, ciglia e sopracciglia. Ho scoperto che anche il make up è una forma di ribellione, un modo per manifestare a tutti la propria voglia di vivere, e per cambiare il proprio sguardo sulla realtà». Claudia lo fa anche con i vestiti, scegliendo sempre tinte brillanti e allegre: «Trovare qualcosa di bello da mettersi solleva l’umore e regala allegria anche alle persone vicine. Ho comprato una parrucca che non ho mai indossato, perché poi mi sono fatta fare fasce e turbanti colorati. Continuare a curare l’aspetto e l’abbigliamento, che può sembrare una forma di egoismo, è stata invece una strategia per non darla vinta alla malattia». Ha incontrato anche l’associazione «Amiche per mano», presieduta da Elena Pellorini, nata nel 2016, che ora conta circa 150 socie: «Ho trovato molte amiche, sono nati forti legami di solidarietà femminile, che mi sono stati preziosi, mi hanno dato slancio e coraggio nei momenti difficili. Anche in questo momento in cui non possiamo vederci di persona tutte cucinano e mandano le loro ricette nella nostra chat comune su WhatsApp, un piccolo contributo per tenerci in contatto e non farci sentire sole. L’associazione è come un cuscinetto sul quale puoi appoggiarti, se cadi lo fai sul morbido. Non mi è capitato di chiedermi perché il tumore fosse capitato a me, perché capita anche a tante altre, a queste nuove amiche, così insieme lo affrontiamo meglio, con più forza».

Le «Amiche per mano» offrono un sostegno costante: «Prima che l’emergenza per il coronavirus ci costringesse a sospendere gli incontri, ci vedevamo una volta al mese. Ogni tanto c’erano attività ricreative e di raccolta fondi per contribuire alla ricerca. C’è stata per esempio una bellissima sfilata, a cui ho partecipato indossando un abito prestato da un’amica, in passerella con una ghirlanda di fiori sulla testa, senza parrucca e senza scarpe. Poi, annualmente, viene organizzata una camminata, un momento di sensibilizzazione e solidarietà. L’attività dell’associazione offre sostegno, distrazione, amore, cura reciproca». Sono tutti aspetti che l’hanno spinta a iniziare il percorso per diventare volontaria: «Non è stato facile decidere di stare vicino ad altre persone nelle quali ritrovi la tua stessa fragilità e che ti fanno quindi rivivere momenti di sofferenza e fatica, ma ho scoperto che donare me stessa per aiutare gli altri è il modo migliore che io abbia per lasciare una traccia, per farmi ricordare. C’è chi è all’inizio del cammino e ha bisogno di conforto, di orientamento. All’inizio quando arriva una diagnosi di cancro le persone pensano subito alla morte. Poi, quando incominciano a frequentare l’associazione, scoprono che ci sono tante persone che hanno una vita buona e di qualità e ti fanno capire che puoi combattere, che puoi farcela. Ci sentiamo tra noi, ci scambiamo consigli e rimedi. Siamo tristi, arrabbiate, allegre sempre insieme. Sembrano contributi piccoli, semplici, ma sono importantissimi. Ecco perché, infinitamente grata per quello che ho ricevuto, ho deciso di fare anch’io la mia parte».

Il sostegno della famiglia

Claudia ha sempre avuto accanto Gianluigi, il suo compagno: «Mi ha accompagnato in tutte le terapie, sempre capace di sorridere e di scherzare, mi ha aiutato tantissimo a sdrammatizzare. Anche mia zia Fiorangela mi è stata molto vicina, affiancandomi in tutte le commissioni pratiche. Ho tre cagnolini che sono delle vere pesti e nello stesso stabile in cui abito, vivono anche mio padre Luigi e mia sorella, che è sposata e ha cinque figli e quindi l’allegria non manca mai. Mia nipote Isabel, soprattutto, mi tiene sotto controllo: verifica che prenda le medicine e mi sgrida se mangio troppo zucchero».

Prima della malattia le giornate di Claudia avevano un ritmo frenetico: «La vita mi ha costretto a fermarmi, e per adeguarmi ho dovuto lavorare molto su di me. La società ci impone l’idea che il nostro valore sia legato a quanto riusciamo a produrre, ma non è giusto. Da quando convivo con il tumore ho imparato a concentrare le mie energie solo su ciò che mi piace, sulle persone a cui voglio bene. Leggo, dipingo, sto con i miei nipoti. Ci sono meno soldi, meno lavoro ma molto più amore in tutto ciò che faccio».

Ora vive con trepidazione il momento in cui tornerà in ospedale: «Tutte le visite non urgenti sono state rimandate, ma presto dovrò sottopormi ad alcuni controlli e penso che sarò emozionata nel rivedere i miei medici pensando al periodo che hanno affrontato. Sono grata a tutti, la loro professione è anche la loro vita, si mettono in gioco completamente».

La malattia non ha portato solo sofferenza nella vita di Claudia: «Non sono più la stessa e a volte non mi ricordo più com’ero prima. Credo di non aver avuto scelta: bisogna trovare la forza di andare avanti e vivere al meglio. Essere leggeri come farfalle, essere la versione migliore di se stessi. Mettercela tutta e guardare avanti, senza avere più paura di nulla».

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