Emergenza infermieri, ne mancano mille. Le Rsa guardano all’estero: cento rinforzi

SANITÀ . Solitro (Opi): «Carenza cronica, decisivi i prossimi 5 anni: rischio tsunami con il picco di pensionamenti». Nelle case di riposo addetti da Sud America, India e Nord Africa: «Inserimento complesso, richiede 6-9 mesi».

Servono oggi, ne serviranno ancor di più domani. Ma la carenza d’infermieri, seppur portata all’attenzione della politica da tempo, ancora non s’è risolta. Vale a livello nazionale e pure su scala locale: in Bergamasca, secondo le stime dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi), rispetto al fabbisogno ideale continuano a mancarne un migliaio sommando le esigenze di ospedali, case di riposo, strutture sociosanitarie, sanità di territorio.

«La cifra è stabilmente quella – rileva Gianluca Solitro, presidente dell’Opi di Bergamo –. Lo rileviamo da anni anche per quanto riguarda le iscrizioni: i nostri iscritti restano stabilmente attorno ai 7mila, con oscillazioni minime. In tempi recenti c’è un pareggio tra ingressi e uscite, mentre non si riesce a “decollare”». Una misura «tampone» recente è il reclutamento di infermieri dall’estero per le case di riposo, con almeno un centinaio di professionisti arrivati in tempi recenti soprattutto dal Sud America e dall’India.

«Di miglioramenti recenti non ce ne sono stati – ragiona Solitro, che fino a oggi sarà a Rimini al congresso straordinario della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, che poserà l’attenzione anche su questi temi –, anche perché negli ultimissimi anni il numero di iscritti ai corsi di laurea in Infermieristica è addirittura inferiore al numero di posti messi a bando. Purtroppo l’attrattività della professione resta bassa: occorre mettere risorse economiche sul tavolo per rilanciare retribuzioni e percorsi di carriera, in un settore che vive stanchezza, stress e subisce aggressioni».

Gli infermieri dall’estero sono una soluzione?

«Un conto è mettere una toppa numerica, un conto è parlare di qualità: la barriera linguistica è forte, non è una professione che si può improvvisare. Peraltro, il costo della vita al Nord Italia non è certo attrattivo per chi viene da altri Paesi. Da parte nostra, come Ordine di Bergamo e lombardo, siamo sempre stati a disposizione della Regione per lavorare insieme sulla carenza e dare spunti per cercare soluzioni. Attendiamo una loro chiamata».

Lo Scenario nel 2030

A medio termine la situazione rischia addirittura di peggiorare, un recente studio della Uil calcola che tra il 2026 e il 2030 raggiungeranno la soglia della pensione circa 9.200 infermieri in Lombardia: «I prossimi cinque anni sono decisivi – conferma Solitro – perché si arriverà alla gobba pensionistica, al picco dei pensionamenti: potrebbe essere uno tsunami per la nostra sanità». Tra l’altro, già oggi in Lombardia «mancano quasi 10mila infermieri rispetto al fabbisogno», aggiunge Solitro. E se i corsi di laurea non formano un numero sufficiente di professionisti, il buco rischia di allargarsi.

Rsa, rinforzi dall’estero

Soprattutto dopo il Covid, le Rsa hanno patito particolarmente la carenza d’infermieri, anche per il «travaso» verso gli ospedali pubblici. Intanto, nelle case di riposo è cominciato il reclutamento di personale dall’estero: attraverso alcuni dati a campione e una stima complessiva sulle oltre 65 Rsa bergamasche, è verosimile conteggiare circa un centinaio di infermieri arrivati dall’estero nell’ultimo anno abbondante.

«Le strutture, seppur non tutte, si avvalgono di infermieri provenienti dal Sud America, India e Nord Africa – commenta Barbara Manzoni, presidente dell’Associazione San Giuseppe che rappresenta le Rsa cattoliche –. Molte volte è necessario dare loro un alloggio, il problema della barriera linguistica non è assolutamente trascurabile. Si cerca di dare la priorità a chi ha un discreto livello di comprensione della lingua ed è in grado di relazionarsi con gli ospiti e con i colleghi». «Il canale con l’estero è ormai aperto e con numeri rilevanti, può capitare che in alcune Rsa ci siano in turno quasi esclusivamente persone straniere – conferma Cesare Maffeis, presidente dell’Associazione case di riposo bergamasche, che riunisce le strutture laiche –. Chi arriva dal Sud America o dall’India ha più affinità con la lingua o perché di cultura cattolica, mentre dal Nord Africa l’inserimento è più complesso.

Il problema generale è che l’inserimento richiede tempo, almeno 6-9 mesi, tra burocrazia, lingua e preparazione. Ma è ormai indispensabile, vista la carenza». A livello nazionale, Aris e Uneba – le due maggiori associazioni sociosanitarie d’ispirazione cattolica – hanno promosso il progetto «Samaritanus Care», patrocinato dalla Cei. Il progetto, spiega Fabrizio Ondei, presidente di Uneba Bergamo, «attraverso convenzioni con Università, o eventuali entità formative equipollenti, si propone di invitare infermieri disposti a lavorare in Italia, per cui sono state stabilite collaborazioni con Università e istituti in Nigeria, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Argentina, Perù e India, supportando i professionisti nei vari processi burocratici a partire dal Paese di origine fino all’arrivo in Italia».

«Percorso lungo e complicato»

In città, Fondazione Carisma ha già assunto una decina di infermiere dal Sud America e 4 dall’India: «Il percorso è lungo e complicato – rileva il dg Fabrizio Lazzarini –, e quello degli infermieri resta un grande problema che potrebbe acuirsi con l’aumento del numero di posti nei corsi di laurea in Medicina, più attrattivi. Ultimamente si assiste a un ritorno in Rsa di infermieri che lavoravano in ospedale, ed è positivo, ma le difficoltà restano anche per altri ruoli: abbiamo attivato un corso per 30 Asa (gli ausiliari socioassistenziali, ndr), ci facciamo carico di tutti i costi di formazione e continueremo a fare così a oltranza, per attrarre lavoratori».

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