«Incidenza» e pressione ospedaliera
Ecco perché la Lombardia resta rossa

Non basta l’Rt quasi da zona gialla, ecco spiegato perché la Lombardia non cambia colore.

Che il picco di questa recrudescenza tardo invernale sia stato raggiunto e ormai superato, lo dicono i numeri. Ma il senso comune ricavato dalla curva in direzione discendente si scontra con la profondità del sistema di valutazione del rischio. Perché la Lombardia sarà ancora (almeno) una settimana in zona rossa, se la situazione sta migliorando? Perché non tutti gli indicatori sono rientrati entro i livelli di guardia.

Solo uno, quello che ha scandito la quotidianità dell’ultimo anno, in effetti pare ora «a bolla»: l’Rt lombardo, secondo i calcoli degli epidemiologi della Regione e anche secondo altre fonti indipendenti, è da arancione già da una settimana (era a 1,16 venerdì scorso), e adesso potenzialmente anche da giallo (ma non si possono scendere due colori in un colpo solo): l’indice di riproduzione del virus è infatti in contrazione ovunque, a Milano è a 0,91 e a Brescia addirittura a 0,83, e anche la Bergamasca è sotto l’1; sopra l’1 ci sono invece solo quattro province su 12: Sondrio, Mantova, Cremona e Lodi. Sotto l’1,25 ci sono valori da zona arancione, sotto l’1 – la situazione in cui ora s’inserirebbe la Lombardia – c’è il giallo.

Ma, appunto, il colore è legato anche ad altri dati. L’incidenza è la «spia» che la cabina di regìa nazionale ha assunto come criterio per adottare le scelte nella maniera più tempestiva, fissando a quota 250 nuovi casi settimanali ogni 100 mila abitanti la soglia di rischio massimo: e la Lombardia, pur con un trend di calo, è ancora al di sopra di quest’asticella. Il calcolo secondo i dati di ieri, infatti, pone l’incidenza regionale a quota 299, perciò ancora critica. Da zona rossa, in sostanza, anche se mercoledì 17 questo valore era a 331: vuol dire che il raffronto settimana su settimana mostra una contrazione quasi del 10%. Non basta, perché se si scandagliano i singoli territori emerge un mosaico da zona rossa, con nove province su 12 al di là della soglia di 250: si tratta di Brescia (416), Mantova (384), Monza (350), Cremona (348), Como (333), Sondrio (316), Pavia (315), Varese (296) e Lecco (278); Milano è un filo sotto (245), Lodi (192) e Bergamo (180) hanno invece valori solidamente più stabili. Anche l’andamento recente è a macchia di leopardo, perché se in alcune aree la decrescita dell’incidenza è significativa (Brescia -15% da un mercoledì all’altro, Cremona -13%, Lecco -18%) in altre invece la riduzione è risicata se non addirittura in controtendenza (Milano -4%, Sondrio +6%). Dunque, considerato il simil-automatismo adottato da oltre un mese a questa parte quando l’incidenza varca quota 250, si resta in rosso. Se si passasse in arancione, tre quarti delle province lombarde dovrebbero comunque essere rimesse in rosso: da qui la tinta unica sulla tonalità più forte.

Da rosso tra l’altro non c’è solo l’incidenza, ma anche il terzo pilastro del sistema di valutazione della cabina di regìa nazionale: la «resilienza» dei servizi sanitari, che vede un aspetto determinante nella pressione esercitata sugli ospedali. Resta altissima e vicina al picco. Martedì si è varcata la soglia degli 8 mila ricoverati totali tra reparti ordinari e terapie intensive (all’apice dell’ondata di novembre si arrivò a 9.340), da 32 giorni consecutivi si registra un aumento dei pazienti ricoverati; in poco più di un mese, si sono occupati quasi quattromila posti letto in più. Allarmante, in chiave lombarda, è dunque il livello di saturazione delle strutture. L’Agenas, l’agenzia del ministero della Salute per i servizi sanitari regionali, indica che in Lombardia a ieri era occupato il 60% dei posti in terapia intensiva, rispetto a una soglia critica fissata al 30%; per quanto riguarda i posti letto Covid ordinari, la saturazione è al 53% contro una soglia critica del 40%. La stessa Agenas stima ancora in crescita l’occupazione delle terapie intensive lombarde di qui ai prossimi sette giorni. Dal rosso, insomma, per il momento non se ne esce.

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