Danni del maltempo, l’esperto: «Da anni poniamo il problema. Bisogna smettere di costruire»

L’INTERVISTA. L’ingegner Merati, a lungo direttore della sede di Bergamo dell’Ufficio territoriale regionale: «Dopo che è stato eretto un edificio arriva nei corsi fluviali una quantità di acqua che è 5,5 volte superiore rispetto a prima».

«Ce l’aspettavamo». Esordisce così, con un pizzico di amarezza ma poco stupore, Claudio Merati, ingegnere, a lungo direttore della sede di Bergamo dell’Ufficio territoriale regionale e prima ancora a capo dell’ex Genio Civile, commentando i disastri causati dal maltempo nei giorni scorsi, quando il territorio della nostra provincia ha mostrato tutta la sua fragilità di fronte alle piogge intense.

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Perché dice che non è stata una sorpresa?

«Chi segue l’evoluzione del territorio si aspetta che queste situazioni diventino sempre più frequenti. Abbiamo sostenuto per anni che l’impermeabilizzazione del territorio porti con sé, inevitabilmente, un aumento del rischio: continuare a costruire significa rendere il terreno meno permeabile, dunque metterlo in pericolo».

Come cambia, in particolare, il percorso dell’acqua proveniente dalle precipitazioni quando un terreno viene edificato?

«Dopo che è stato costruito un edificio, arriva nei corsi d’acqua una quantità di acqua che è superiore di 5,5 volte rispetto a prima. Se su un terreno viene invece lasciata la vegetazione, è solo una piccola parte di acqua piovana quella che va a finire nei corsi d’acqua».

Perché dunque questo provoca le piene dei fiumi?

«L’acqua non può più essere contenuta nei reticoli, che rimangono gli stessi: questa acqua che continua ad aumentare finisce nel Brembo e nel Serio, che hanno poi le piene e fanno disastri. Un conto è che il reticolato, ricco e articolato, che abbiamo debba smaltire l’acqua non assorbita da un terreno vergine, un conto è che debba smaltire quella di un terreno urbanizzato: così non regge più».

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Il cambiamento climatico, dunque, si innesta su una situazione già problematica?

«Da anni abbiamo portato all’attenzione di amministratori e opinione pubblica questa questione, che ora appare in tutta la sua gravità, a seguito del cambiamento climatico che provoca delle botte di pioggia intensa di breve durata, che mettono in crisi il sistema. Ma il problema era già aperto: c’è una componente globale, che è il cambiamento climatico che ha reso le piogge più frequenti, con punte di intensità prima non toccate, ma c’è anche un fenomeno locale, legato all’impermeabilizzazione del suolo, per cui il reticolo non smaltisce più le acque».

Anche le modalità di costruzione sono un elemento da attenzionare?

«Innanzitutto va precisato che si dice di no al consumo di suolo non per una questione estetica, che pure c’è, legata alla conservazione di un bel paesaggio, ma per il pericolo che si causa a quell’ambiente urbano che viene costruito. Le costruzioni con piani interrati, in particolare, sono di fronte a un rischio enorme in presenza di esondazioni. Sono state sfruttate con la costruzione di cantine e garage: basta una piccola esondazione e i pericoli diventano altissimi».

Quali possono essere, dunque, oggi le cure?

«Come per una patologia, quando la situazione è grave non c’è una cura unica che risolve il problema, ma una serie di terapie da mettere in campo insieme. Ovviamente, bisogna smettere di costruire, per evitare di impermeabilizzare ancor di più il terreno. La nostra provincia è già molto costruita, deve maturare la mentalità che porti innanzitutto a recuperare l’edificato anziché costruire ex novo. Seconda questione è l’applicazione rigorosa delle normative sull’invarianza idraulica e idrologica, per ridurre l’impatto dell’attività edilizia».

In cosa consistono queste norme?

«Non si tratta di nuove leggi da introdurre, ma di norme già esistenti ma che dubito vengano sempre rispettate in modo rigoroso. Quando si costruisce in un terreno vergine, bisogna adottare quegli accorgimenti che non peggiorino la situazione, facciano in modo che l’acqua venga filtrata nel sottosuolo o accumulata in vasche e rilasciata gradualmente. Questo non elimina i problemi presenti, ma permette di ridurre il rischio legato a quelli già esistenti. Sempre in quest’ottica le vasche di laminazione aiutano a ridurre l’impatto delle precipitazioni».

Dobbiamo aspettarci che la situazione peggiori ancor di più?

«Non è un rischio, è una certezza: la situazione diventerà ancor più pesante. Può darsi che eventi simili colpiscano una zona piuttosto che un’altra, ma sicuramente ne avverranno altri. L’acqua segue la sua logica, serve un cambio di mentalità per assumere decisioni coerenti».

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