Cronaca / Bergamo Città
Domenica 10 Novembre 2019
Dal desiderio di un ragazzo di 14 anni
reti di cura per le famiglie dei cardiopatici
L’associazione «L’Orizzonte di Lorenzo» è nata su iniziativa dei genitori del giovanissimo Lorenzo, sofferente di cuore e morto a soli 14 anni. Mamma e papà hanno fatto diventare realtà il desiderio del figlio, che diceva loro: «Come sarebbe bello se qualcuno si prendesse cura di me e degli altri bambini e ragazzi come me in un altro modo. Ci siete voi, ci sono i medici, ci sono le persone care e va benissimo. Ma sarebbe bello avere persone che non conosci e si prendono cura di te, si dedicano a te».Oggi l’associazione conta sull’appoggio di 140 soci sostenitori e 40 volontari, seguiti da un educatore professionale.
Tanta voglia di vita. Perché nessuno è la malattia che può ritrovarsi addosso. Ciascuno è altro e molto di più: è sogno e progetto, è cuore e cura. È la gioia di un giro fuori dalle quattro mura di una stanza d’ospedale con la carrozzella recuperata da un’infermiera arguta. È il divertimento di una partita a scala quaranta giocata grazie alle mani amiche di un volontario che ti tiene le carte. È la chiacchierata con una madre mai stanca nel cuore della notte. È il desiderio di inforcare finalmente la bicicletta e per una volta fare più tardi del solito la sera.
Lorenzo era tutto questo ed altro ancora. Aveva 14 anni e si era iscritto al primo anno del liceo a indirizzo biologico di Vimercate. «Aveva un bellissimo carattere. Sempre sorridente e positivo. Sentiva la fatica, ma l’accettava: sapeva che era necessario», racconta mamma Alessandra, minuta e forte, di quella forza che solo dolori più grandi di ogni umana immaginazione possono dare. Non a caso il marito Claudio con un sorriso complice la definisce «una leonessa». Lorenzo era nato con una cardiopatia congenita diagnosticata in gravidanza. Era il 1990. Esami successivi alla nascita definirono i contorni di una malformazione complessa ancor più grave di ciò che già era apparso fin dall’inizio. A due anni e mezzo dovette affrontare un intervento correttivo importante, che si sperava risolutivo. «Quando i medici uscirono dalla sala operatoria ci fecero coraggio: capimmo che quel cuore sarebbe stato a termine, prima o poi sarebbe stato necessario un trapianto», racconta la mamma riavvolgendo il nastro dei ricordi. Alessandra Panarese, oggi 55 anni, impiegata in una multinazionale, e Claudio Giani, che di anni ne ha 59 e fa l’agente di commercio all’ingrosso nel campo delle sementi agricole, si ritrovarono di colpo su una strada in salita.
Dalla casa brianzola a Burago di Molgora la loro storia s’incrociò presto con la Cardiochirurgia dell’ospedale di Bergamo. Si era ancora ai Riuniti in largo Barozzi, primissimi anni Novanta, e a dirigere il reparto c’era ancora Lucio Parenzan, il luminare che ha aperto nuove frontiere nella cardiochirurgia: «Ogni lunedì pomeriggio passava con la sua équipe e a ogni medico chiedeva informazioni su ogni piccolo paziente. L’ospedale era incredibilmente pieno di mamme con la valigia che dopo peregrinazioni più o meno lunghe erano approdate a Bergamo con i loro bambini: arrivavano da ogni parte d’Italia, con situazioni inimmaginabili». Fra loro, c’era Lorenzo: «Tutti gli anni eravamo in ospedale per esami invasivi. In tutto ha dovuto affrontare tre interventi a cuore aperto. Piano piano, nella nostra esperienza di genitori abbiamo imparato a osservare nostro figlio con occhi diversi. Fin da piccolo, ad esempio, abbiamo capito che anche se un bambino non sa ancora parlare, riesce a esprimere i propri sentimenti: dopo la prima operazione, quando si risvegliò, era arrabbiato, non ci guardava, come se volesse dire a noi: “Ma cosa mi avete fatto?”».
E a ogni passo nasce il bisogno di dare risposte adeguate a questi sentimenti e a questi sguardi, cure non solo mediche ma umane: «Fin da subito, abbiamo sempre cercato di dare a nostro figlio una buona qualità di vita, il più possibile normale, da bambino», a misura di quella splendida e ingenua semplicità dell’infanzia che quando il medico ti dice che devi mangiare meno spaghetti, ti viene da chiedere serio serio: «I maccheroni vanno bene?». Ogni singolo tassello dei nostri quotidiani mosaici diventano speciali: la scuola, il gioco, i viaggi: «Abbiamo cercato di dare a Lorenzo delle opportunità commisurate alla sua condizione». Significa avere tempi e attenzioni diversi in un mondo abituato a correre e che non vede: perché a differenza di altre malattie, una cardiopatia non si vede, sembra tutto normale, ma tu sai perfettamente che uno sforzo di troppo può spezzare l’equilibrio.
Attenzione, cura, vicinanza, umanità. Tutto questo viene tradotto da Lorenzo in un desiderio. A quattordici anni ormai la testa è quella di un ragazzo, sveglio e sensibile, oltre che bello. È il 2004 e Lorenzo sta aspettando un cuore per il trapianto. Non uno qualsiasi, ma quello perfetto, che gli calzi a pennello: «il cuore di Lorenzo», come dicevano i medici, perché aver affrontato già tre interventi a cuore aperto rendeva tutto più complicato e rischioso e serviva una compatibilità piena. In una delle tante chiacchierate con mamma Alessandra e papà Claudio, Lorenzo butta lì: «Come sarebbe bello se qualcuno si prendesse cura di me e degli altri bambini e ragazzi come me in un altro modo. Ci siete voi, ci sono i medici, ci sono le persone care e va benissimo. Ma sarebbe bello avere persone che non conosci e si prendono cura di te, si dedicano a te».
Tanta voglia di vita, di normalità, dove capita che incroci gente nuova e sconosciuta e si accendono alchimie inattese e gratuite. Era successo con il professor Giuseppe. Era il primo anno della scuola in ospedale anche per i ragazzi delle Superiori. Lorenzo aveva iniziato il percorso. Un giorno l’insegnante colse nel ragazzo una stanchezza più accentuata del solito e uscì dagli schemi: «Cosa dici se facciamo lezione chiacchierando?». Due parole e un massaggio alle spalle, per provare a scacciare quel dolore che non voleva saperne di passare. Ecco il desiderio di Lorenzo: qualcuno che fino a un attimo prima non conoscevi e che si prende cura di te, ti capisce e ti sta vicino con tutta l’umanità di cui è capace.
Di lì a poco, Lorenzo se ne va. Non è bastato il tempo per avere il cuore giusto, non è bastato il tempo per fare tardi in bicicletta né per volare d’estate a Berlino. Lo sconquasso che ne segue si può solo immaginare. La rinascita è storia ancora oggi, storia di speranza e di vita. Da quel desiderio di cura per tutti i bimbi e i ragazzini col cuore sottosopra, prende forma «L’orizzonte di Lorenzo». Alessandra e Claudio raccontano: «Dopo qualche mese, abbiamo contattato i medici di Bergamo. Due cardiologi sono venuti a casa nostra. Con loro e altre persone sensibili e vicine a noi, nel nostro salotto di casa abbiamo iniziato a delineare gli obiettivi che volevamo perseguire. A dicembre del 2005 abbiamo costituito l’associazione. Lo scopo è migliorare l’assistenza e la cura dei bambini cardiopatici durante il ricovero. Oggi ci occupiamo anche degli adulti, i cosiddetti Guch (Grown up congenital heart), perché fortunatamente chi nasce con una cardiopatia congenita oggi ha una buona prospettiva di vita».
Il tentativo di rispondere alle domande umane delle famiglie, oltre gli aspetti più strettamente medici, si mette in moto. Solo per fare qualche esempio, parte il supporto psicologico per i genitori con una modalità inedita: lo psicologo entra nelle equipe di cura, così che possa seguire passo passo l’evoluzione della malattia e delle terapie e supportare mamme e papà nel trovare le risorse e le strategie per preservare l’interezza dell’essere bambino del proprio foglio. Nasce lo sportello informativo. Nascono i progetti legati al gioco, nel segno della lezione del poeta Pablo Neruda, che ha scritto: «Nella mia casa ho riunito giocattoli grandi e piccoli, senza i quali non potrei vivere. Il bimbo che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che era dentro di sé e che gli mancherà molto». Nasce una casa, inaugurata da poco a Longuelo con il supporto della Fondazione Mia, per i piccoli che vengono dimessi dalla Cardiologia e dalla Cardiochirurgia pediatrica ma devono rimanere nelle vicinanze dell’ospedale «Papa Giovanni XXIII».
Oggi l’associazione può contare sull’appoggio di 140 soci sostenitori e 40 volontari, seguiti da un educatore professionale che li supporta nelle idee e nelle difficoltà, nell’attenzione costante a quei piccoli gesti quotidiani che possono sembrare banali ma che sono pieni di una tenerezza infinita: a una mamma, può bastare anche solo un caffè per sentirsi l’anima un briciolo più leggera.
«L’associazione è una comunità – dice Alessandra, che ne è presidente –. È una rete di esperienze e un’opportunità per ognuno di noi di accogliere l’altro nella misura delle nostre capacità, disponibilità e passioni». Opportunità è la parola che torna più di frequente nella descrizione di un servizio che entra in punta di piedi, con discrezione e delicatezza, in situazioni complesse: «Offriamo un’opportunità di vicinanza, di gioco, di sorrisi, di ascolto. Nessuno di noi è un super eroe. Siamo solo un’opportunità gratuita che l’altro può prendere oppure no. Gettiamo ponti: chi vuole, li percorre, se no va bene uguale. Anche sul territorio abbiamo costruito tante relazioni positive e la casa a Longuelo è uno dei frutti che ne sono nati. Sconfinando si fa rete».
Lorenzo è ogni giorno nella semplicità delle piccole cose che rendevano felice anche lui. Il suo orizzonte si perde e si allarga in quello di tanti altri bambini: «Nell’associazione portiamo quanto di positivo c’è stato nella nostra esperienza. Dal nostro dolore e dal nostro amore per Lorenzo è nato qualcosa di nuovo che anche per noi è stata un’opportunità: la possibilità di vedere ancora il bello». Lorenzo sarebbe contento di tutto questo? Magari con un dolce sorriso tirerebbe un po’ le orecchie alla mamma che passa le notti insonni a sistemare gli aspetti gestionali e amministrativi che un’associazione richiede, ma sì, sarebbe di sicuro contento: «Se il nostro lavoro dà l’opportunità di un sorriso a un bambino, penso proprio che nostro figlio ne sarebbe felice: era il suo obiettivo». Il suo orizzonte.
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