Cronaca / Bergamo Città
Martedì 04 Luglio 2023
Dai cuochi a informatici e operai, un’impresa su due non li trova
LAVORATORI INTROVABILI. Tra chi cerca (20%) la difficoltà di reperimento è al 46%. Confindustria: scollamento tra giovani e necessità delle aziende.
Cuochi, camerieri, baristi, infermieri, educatori professionali e per disabili, autotrasportatori. Ma anche tecnici informatici, elettricisti, idraulici, posatori di pavimenti. Figure professionali che avrebbero un posto di lavoro assicurato, se solo si trovassero. Sono, appunto, gli introvabili. Profili richiestissimi dalle aziende bergamasche che, però, non si riescono a reperire per l’assenza di candidati, più che per l’inadeguatezza delle competenze (che comunque gioca la sua parte).
Il Sistema informativo Excelsior di Unioncamere-Anpal fotografa lo stato dell’arte. Nel trimestre giugno-agosto 2023 la difficoltà di reperimento si attesta mediamente al 46% (+6,8% rispetto a un anno fa; in pratica quasi un’impresa su due tra quelle che cercano personale non lo trovano), mentre è in aumento la previsione di contratti a tempo indeterminato (+14,8%).
Sempre nello stesso periodo, nella Bergamasca sono previste 23.840 assunzioni, spinte soprattutto dal manifatturiero (29%), ma anche da turismo (13,8%), commercio (13,5%), costruzioni (10,4 %) e altri servizi (33,2 %). Bergamo è la terza provincia in Lombardia dopo Milano e Brescia per numero di entrate richieste (10%), con il 20% delle imprese in cerca di personale, in particolare nella classe dimensionale fra 10 e 49 dipendenti (31,3%).
Tra i profili con elevata specializzazione sono introvabili i tecnici della salute (tra infermieri, educatori professionali e per disabili, con un indice di difficoltà di reperimento pari al 58%) e i tecnici informatici (difficoltà 58,6%). Nel mondo del commercio e dei servizi sono invece ricercatissimi cuochi, camerieri, baristi (difficoltà 42%), mentre tra gli operai mancano gli autotrasportatori (difficoltà 58,6%), ma anche gli edili (elettricisti, idraulici, installatori e manutentori di impianti, posatori di pavimenti, con una difficoltà del 46,3%), i conduttori di macchine utensili industriali a controllo numerico (difficoltà 45,9%). «C’è uno scollamento tra il mondo dei giovani e le necessità delle imprese, soprattutto dopo il Covid – fa presente il direttore di Confindustria Bergamo Paolo Piantoni –. L’aspetto retributivo non è più così importante, sono diventati essenziali altri fattori come il tempo e l’ambiente di lavoro. Molte figure non si trovano perché non c’è disponibilità a fare turni o trasferte, ma pesa anche la flessibilità in ingresso e in uscita, ricercata soprattutto dalle donne».
È cambiata la cultura del lavoro, anche le regole d’ingaggio si sono capovolte. «I giovani chiedono sempre più spesso alle imprese la capacità di progettare il loro futuro, ai colloqui chiedono un piano di crescita di medio periodo – racconta Piantoni –. Questa è una novità. E poi guardano il posizionamento dell’azienda su sostenibilità ambientale e sociale».
Altro comparto, stesso scenario anche guardando al mondo degli artigiani. Non si trovano, per esempio, semplici muratori, imbianchini, piastrellisti, cartongessisti. «Nell’edilizia la manodopera manca perché non c’è ricambio, la scuola edile soddisfa l’1% del bisogno – fa presente Stefano Maroni, direttore di Confartigianato Bergamo –. I giovani italiani non vogliono fare lavori usuranti, ma neppure le seconde generazioni di extracomunitari: è un problema emerso in tutta la sua drammaticità con il rilancio del settore determinato dal Superbonus 110%».
Anche Enrico Betti, responsabile dell’area Lavoro di Ascom Confcommercio Bergamo, ammette che il mercato del lavoro è molto cambiato dopo la pandemia. «Camerieri, cuochi, addetti alla vendita sono introvabili perché le persone sono più attente al tempo libero, sono diventate refrattarie a lavorare il sabato e la domenica - sottolinea –. C’è carenza anche di addetti alle paghe, un po’ perché mancano le competenze, infatti insieme all’Ente bilaterale stiamo organizzando dei corsi specifici, ma soprattutto perché questi profili non possono prendere mai ferie la prima decade del mese».
Per Betti è anche l’effetto dei social: «I giovani non vedono più nel lavoro uno strumento di riconoscimento sociale, perché i social non rappresentano quel che fai come lavoro, ma cosa fai nel tempo libero».
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