Cronaca / Bergamo Città
Giovedì 20 Febbraio 2020
«Da noi c’è una domanda di impiego
molto polarizzata verso il basso»
L’inchiesta sui Neet 7/8 . Reyneri, sociologo del lavoro: negli altri Paesi sviluppati, c’è una forte concentrazione anche verso l’alto. «Dopo un avvio spedito, il programma Garanzia giovani è stato abbandonato. Ma nei progetti serve continuità».
«In Italia esiste un’ampia fascia di giovani e donne che vorrebbero lavorare ma non cercano lavoro», Emilio Reyneri, sociologo del lavoro dell’Università Bicocca di Milano, sintetizza in poche parole il fenomeno dei Neet (Not in education, employment or training) ovvero i giovani che pur non essendo né studenti né occupati non cercano attivamente lavoro.
«In Italia esiste un’ampia fascia di giovani e donne che vorrebbero lavorare ma non cercano lavoro», Emilio Reyneri, sociologo del lavoro dell’Università Bicocca di Milano, sintetizza in poche parole il fenomeno dei Neet (Not in education, employment or training) ovvero i giovani che pur non essendo né studenti né occupati non cercano attivamente lavoro.
Perché un ragazzo anche istruito (oltre la metà dei Neet italiani ha conseguito un diploma superiore) non è in cerca di un’occupazione?
«Almeno per due motivi. Da un lato vi è lo scoraggiamento, la sensazione che la ricerca sia comunque vana. Dall’altro lato i giovani spesso trovano il primo lavoro attraverso le conoscenze familiari, pertanto non è necessario fare una ricerca attiva ma è sufficiente il passaparola nella ristretta cerchia dei parenti e degli amici. Ciò in qualche misura ridimensiona il fenomeno».
Sì, ma al contempo denota un atteggiamento dei ragazzi abbastanza passivo, non crede?
«I giovani italiani vivono praticamente quasi tutti in famiglia. A questo punto è lecito chiedersi se si esce più tardi da casa perché non si trova lavoro, oppure perché potendo vivere in famiglia si aspetta un lavoro migliore di quello che si troverebbe in tempi brevi. Dobbiamo anche dire che oggi le occasioni di lavoro sono a bassa qualificazione e a bassa retribuzione, questo spinge i giovani a rifiutare il lavoro scadente e farsi mantenere dai genitori».
Insomma, è l’immagine di giovani un po’ bamboccioni, un po’ choosy come è stato detto negli ultimi anni?
«Così sembrerebbe ma dobbiamo tararlo sulla domanda di lavoro italiana che è molto polarizzata verso il basso. In tutti i Paesi sviluppati la domanda di lavoro tende a polarizzarsi sia verso l’alto (professioni di tipo intellettuale e di alto contenuto tecnico), sia verso il basso (lavori di servizio come camerieri, facchini, trasportatori, commessi, ecc.) mentre i lavori intermedi, come l’impiegato di banca, sono in forte contrazione. In Italia in questi ultimi anni, soprattutto per i giovani, è cresciuta la domanda di lavoro più bassa sulla quale non incide né l’automazione, né la globalizzazione. La maggior parte dei giovani possono accedere a lavori scadenti che, potendo contare sulla famiglia, rifiutano. Ma se il lavoro fosse “buono” si prenderebbe al volo».
Esiste anche un problema di formazione dei giovani non adeguata all’offerta di lavoro?
«Purtroppo, il nostro sistema scolastico, tolti alcuni punti di eccellenza, è di livello medio basso e fornisce una preparazione di tipo nozionistico. Da un recente rapporto di Randstad, società di consulenza per le risorse umane, emerge che le competenze dei giovani, particolarmente quelle di carattere tecnico, digitale e di lingue straniere, sono abbastanza scadenti e non adeguate al mondo del lavoro. Le imprese lamentano spesso di non trovare le figure professionali che gli servono, ma sono dichiarazioni da trattare con prudenza perché da un lato abbiamo i giovani che aspirano a posizioni superiori alle loro competenze, ma dall’altro le imprese vorrebbero che il lavoratore fosse subito pronto all’uso, senza considerare, soprattutto nelle Pmi, che ogni nuova assunzione richiede un periodo iniziale di formazione».
Perché i Neet sono numericamente rilevanti anche in aree dove la disoccupazione è più bassa?
«Perché anche nei territori dove c’è maggiore occupazione l’incontro tra domanda e offerta di lavoro trova molti ostacoli. Questo si concentra prevalentemente sui giovani ai quali, spesso a causa delle scarse competenze trasversali, è negata la chance del primo lavoro. Ciò avviene non solo al Sud, dove l’offerta di lavoro è scarsissima, ma anche al Nord dove la disoccupazione colpisce particolarmente i giovani. Anche in Lombardia, motore economico d’Italia, i Neet sono un fenomeno molto rilevante con differenze minime e poco significative tra le province, tranne Milano, di cui sono note l’elevata crescita economica e la forte domanda di lavoro».
A proposito di differenze, quelle di genere, si replicano in forte misura anche tra i Neet. Dati recenti mostrano che a Bergamo i giovani che non studiano né lavorano sono il 10,7% dei maschi e più del doppio, 23,6%, delle femmine. Come affrontare il problema?
«È necessario chiarire che queste statistiche si basano sulla domanda “sta studiando o è in cerca di lavoro?” alla quale, per i motivi già detti, i Neet rispondono negativamente. È una caratteristica tutta italiana che le donne più che gli uomini abbiano un comportamento poco attivo nella ricerca di lavoro. Ciò deriva sia dal fatto che spesso il lavoro si cerca attraverso conoscenze familiari, sia che la famiglia italiana fa meno pressione sulle ragazze che sui ragazzi affinché si trovino un posto di lavoro. Inoltre, se la domanda delle interviste fosse “vorrebbe lavorare?” le percentuali crollerebbero drasticamente, sia per i maschi che per le femmine. La differenza di genere rimane comunque un dato italiano molto forte anche se si sta leggermente attenuando con la crisi economica che ha colpito di più i giovani e i maschi, tradizionalmente impiegati nei settori dell’industria e delle costruzioni, ciò è avvenuto contestualmente ad un forte incremento, soprattutto per le trentenni, del part time involontario a fronte di una drastica diminuzione di quello volontario».
Il quadro che si delinea è piuttosto sconfortante. Che misure si dovrebbero adottare per affrontare il problema?
«Ci sono diversi aspetti da considerare. Innanzitutto, la scuola. È necessario che il sistema scolastico fornisca le adeguate competenze, soprattutto quelle tecniche di cui difetta particolarmente. Poi il sistema imprese che deve aprirsi alla cultura della formazione. Soprattutto per le piccole imprese non è facile attuare questo programma che richiede tempo e una organizzazione del lavoro adeguata, quindi nuovi costi. Un terzo livello è di competenza più squisitamente pubblica. Il programma Garanzia giovani ha aperto a molti tirocini temporanei che hanno aiutato i giovani ad entrare in rapporto con le imprese. Purtroppo, dopo un avvio abbastanza spedito il programma è stato abbandonato. È chiaro che qualunque progetto pubblico ha necessità che esista una organizzazione amministrativa che lo supporti e dia continuità agli interventi. Solo con perseveranza e dedizione si vedranno dei buoni risultati».
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