Covid, screening voluto dal governo
Solo una persona su 4 dice sì

Su 2.700 selezionati, in 594 hanno rifiutato. Altri 1.431 da ricontattare. E i reagenti scadono il 17 luglio. La Cri: «Un errore dire di no, sottoponetevi agli esami».

Bisognerebbe capire da dove la si vuole guardare. Se si preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno, solo il 22% del campione ha rifiutato. Se si opta invece per quello mezzo vuoto, solo il 25% - uno su quattro - ha già accettato. A trionfare, gli indecisi: ben il 53% della platea è titubante e deve pensarci su. Insomma, non proprio un successone l’indagine di sieroprevalenza voluta da Ministero della Salute e Istat con la collaborazione della Croce rossa italiana (Cri) per capire quante persone nel nostro Paese abbiano sviluppato gli anticorpi al coronavirus. A vedere i dati emersi dalle chiamate ai cittadini bergamaschi, pare che i tanto attesi test sierologici – quelli per cui, per intenderci, due mesi fa c’erano code fuori dai laboratori privati - non facciano più poi tanto gola. A Bergamo, delle 2700 persone selezionate per i test e contattate fra città e provincia, solo 675 hanno risposto subito sì, fissando l’appuntamento per il prelievo gratuito. Altre 594 hanno invece rifiutato categoricamente, mentre la stragrande maggioranza del campione – 1.431 persone - ha preferito tergiversare, senza sbilanciarsi, nè sì né no insomma, piuttosto vedremo. Con il risultato che gli operatori della Cri li dovranno richiamare: l’ordine dall’alto è quello di richiamarli fino ad un massimo di dieci volte, proprio per venire incontro agli indecisi e alzare la platea dei testati.

Solo se la platea è ampia, infatti, l’indagine epidemiologica può avere risultati affidabili e utili. Non che ci sia molto tempo, per la verità. I test che si usano per l’indagine nazionale sono stati forniti (gratuitamente) dalla multinazionale americana Abbott, che ad aprile s’è aggiudicata il bando del Governo per la fornitura di 150 mila test sierologici. Ma i test messi a disposizione scadono a metà luglio: i reagenti hanno infatti una data di scadenza precisa, oltre la quale vanno gettati al macero poiché l’efficacia non è più garantita. E nel caso dei test sierologici forniti per l’indagine epidemiologica nazionale, la scadenza è il 17 luglio. Praticamente, fra una settimana.

C’è poco da essere titubanti, quindi: se si vuole fare il test, il tempo stringe. «Il numero delle persone che devono essere richiamate può sembrare alto – ammette Sabina Liebschner, presidente Cri- Comitato Regionale Lombardia – ma è dovuto alla volontà di Istat di dare più opportunità alle persone indecise, nella convinzione del valore che questa indagine ha per la ricerca contro il Covid-19. In merito alle risposte negative, che tuttavia comprendono le persone decedute e gravemente malate, è necessario ricordare che la Bergamasca è stata una delle zona più colpite dal virus. Per questo, in molti hanno già eseguito test sierologici e tamponi, anche grazie alle campagne attuate da diverse amministrazioni comunali».

A dirla tutta, a «scoraggiare» i cittadini dal fare i test sierologici c’è, soprattutto, la questione dell’isolamento: chi risulta positivo agli anticorpi deve essere posto in isolamento fino all’esito del tampone, e non tutti sono disposti a (ri)chiudersi in casa. Nemmeno se, in gioco, c’è il proprio stato di salute. «Ma sapere se si è venuti in contatto col virus è fondamentale – osserva Maurizio Bonomi, presidente della Cri di Bergamo -. Mi appello ai miei concittadini: accettate di fare i test, per voi e per la comunità. Anche perchè chi risulta positivo agli anticorpi ha la possibilità di donare il plasma: gesto non solo nobile ma preziosissimo per combattere il virus».

A livello nazionale, sembra che ad aver accettato di sottoporsi ai test sierologici – la chiamata ai selezionati arriva per tutti da un numero che inizia con “065510”- sia stato meno del 50% del campione selezionato: parliamo di circa 70 mila persone a fronte di 150 mila test disponibili. Mentre fra i cugini bresciani - per fare un confronto con città limitrofe, altrettanto colpite dal virus – ad avere accettato ci sarebbe soltanto il 27% del campione.

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