«Covid, giusto dare un segnale con le riaperture». Locatelli: zona gialla dal 26, rischio calcolato

Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico: «Siamo in una situazione di contrazione e di riduzione dell’epidemia che fornisce la base per questa possibile decisione che si valuterà nel prossimo monitoraggio. Gli stop a Johnson e AstraZeneca non mettono a rischio il piano vaccinale».

C’è una data e c’è un percorso tracciato. C’è però anche uno scenario più ampio, su cui si distendono certezze – i dati – e inevitabili incognite. La progressione del contagio ora in discesa, gli eventuali rimbalzi delle riaperture, l’accelerazione della campagna vaccinale, l’attenzione a un tessuto sociale ed economico sfibrato dopo oltre un anno di pandemia. Al termine di una giornata decisiva per il futuro prossimo, con l’orizzonte del 26 aprile per le riaperture, il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico, parte dalla definizione utilizzata dal presidente del Consiglio Mario Draghi: rischio calcolato. Questa è la scelta, per l’immediato. E dal 26 aprile, verosimilmente la Lombardia potrebbe essere in zona gialla: «Sarebbe sorprendente un’evoluzione in senso diverso degli indicatori», riflette Locatelli.

Professore, cosa c’è alla base dell’annuncio sulle ripartenze?

«È un rischio ragionato o comunque calcolato. Modulato cioè in maniera tale da avere anche i margini per un eventuale ritorno indietro, e soprattutto con un criterio di progressività da valorizzare».

La circolazione del virus arretra ancora.

«Anche questa settimana abbiamo una riduzione degli indici epidemiologici che supportano quest’ultima scelta, a partire dall’Rt e dall’incidenza. L’occupazione delle rianimazioni, seppur l’indicatore sia sceso dal 41 al 39%, dato certamente positivo, merita una particolare attenzione».

La pressione ospedaliera preoccupa ancora, dunque?

«Rimaniamo sopra i 3.500 posti letto occupati nelle terapie intensive. Se non avremo prudenza, rischiamo di dover tornare indietro e affrontare l’eventuale ritorno dei contagi con un sovraccarico dei sistemi sanitari a livello territoriale. È importante che questi segnali di apertura non vengano letti come l’assunzione che l’emergenza sia passata. Siamo ancora in una fase critica, serve prudenza».

Oltre ai dati dell’ultimo monitoraggio, quali altre riflessioni giustificano le progressive riaperture?

«Sta continuamente aumentando la percentuale di soggetti vaccinati. Per quel che riguarda le prime dosi, siamo sostanzialmente nell’ordine dell’80% per gli ultraottantenni e largamente sopra il 30% tra i cittadini tra i 70 e i 79 anni. Anche la fascia 60-69 anni ora è la terza che più frequentemente ha ricevuto almeno la prima dose. Queste riflessioni e gli indici epidemiologici in continuo miglioramento hanno definito il contesto rispetto al quale il governo ha deciso le nuove misure. Tenendo anche conto della situazione di crisi economica e sociale del Paese più volte sottolineata».

Arriviamo appunto da una settimana di forti tensioni sociali.

«Chiaro che la priorità, come sempre, va data alla salute. Non si possono però dimenticare situazioni di oggettiva difficoltà, esasperazione o disperazione per alcuni settori produttivi e sociali. La logica di anticipare al 26 aprile le riaperture ha esattamente intercettato questa direttrice: dare un segnale forte, e cioè che nessuno sottovaluta il malessere e le difficoltà del Paese. La volontà è quella di aprire in maniera progressiva e graduale, evitando il rischio di tornare indietro».

La Lombardia ha buone possibilità di essere in zona gialla dal 26 aprile?

«Partiamo dai dati attuali. La Lombardia in termini di incidenza cumulativa ha un valore di 164 casi ogni 100 mila abitanti a 7 giorni, quindi sotto la media nazionale che è a 182. L’Rt è a 0,78, anche in questo caso al di sotto del dato nazionale che è a 0,85. È evidente che siamo in una situazione di contrazione e di riduzione dell’epidemia che fornisce la base per questa possibile decisione che si valuterà nel prossimo monitoraggio. Tenderei proprio a dire di sì, la linea evolutiva dell’epidemia è in questa direzione. Sarebbe sorprendente un’evoluzione in senso diverso degli indicatori».

Capitolo vaccini: ora è quello di Johnson & Johnson a creare apprensione. Cosa si sa, rispetto alle complicanze emerse?

«Il vaccino di Johnson & Johnson ha avuto negli Stati Uniti 6 casi di eventi trombotici in sedi inusuali su 7 milioni di somministrazioni: è un’incidenza molto bassa. Si è però valorizzato il dato per cui questi eventi si sono verificati soprattutto in soggetti giovani, e quindi le autorità statunitensi hanno preferito impiegare un’abbondanza di cautela, parafrasando le loro parole, proprio perché si è voluto tutelare al massimo soggetti che possono avere un rischio maggiore di questi eventi e al contempo non avere un’esposizione a complicanze gravi del Covid».

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