Covid, archiviata l’inchiesta per Fontana e altri 12 indagati

INCHIESTA COVID. La decisione del Tribunale de Ministri di Brescia sulla gestione della pandemia.

Il Tribunale dei Ministri di Brescia ha definitivamente archiviato lunedì 24 luglio le accuse di epidemia e omicidio colposi per la gestione della pandemia da Covid-19, in particolare per la mancata applicazione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo, a carico del governatore lombardo Attilio Fontana e di altri 12 indagati.

Il provvedimento

Archiviazione che fa seguito a quella dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza. Era stata la stessa Procura di Brescia a chiedere nei giorni scorsi l’analogo provvedimento anche per il governatore lombardo, per l’ex assessore regionale al Welfare Giulio Gallera e per gli altri 11 indagati: Claudio D’Amario, Agostino Miozzo, Silvio Brusaferro, Andrea Urbani, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito, Luigi Cajazzo, Angelo Borrelli (ex capo della Protezione civile), Giuseppe Ruocco, Francesco Paolo Maraglino e Mauro Dionisio. Rimandati gli atti alla Procura solo per l’accusa di «rifiuto d’atti d’ufficio» a carico di Brusaferro, Borrelli e D’Amario, come tecnici e dell’ex assessore al Welfare Gallera e dell’ex dg Cajazzo, affinché il pm «proceda nelle forme ordinarie», poiché in questa accusa «non è stato ipotizzato alcun concorso di componenti del governo».

Le posizioni di Fontana e degli altri 12 indagati erano state trasmesse dalla Procura bergamasca per una questione procedurale. Ieri il provvedimento del collegio per i reati ministeriali del tribunale di Brescia, presieduto dal giudice Mariarosa Clara Pipponzi e composto da Vincenzo Domenico Scibetta e Michele Stagno, ha messo la parola fine sulla posizione dei 13 indagati con un provvedimento di 34 pagine con cui hanno disposto l’archiviazione «in relazione a tutti gli indagati per insussistenza dei reati». Secondo i giudici l’ipotesi accusatoria nei confronti di Fontana e degli altri indagati «non è supportata neppure dalla consulenza Crisanti e si riduce a nulla più che a una congettura priva di basi scientifiche». Il professor Andrea Crisanti, consulente dei pm di Bergamo, scrive il tribunale, «ha compiuto uno studio teorico ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate». Secondo i giudici «il Piano pandemico del 2006 non era per nulla adeguato ad affrontare la pandemia da Sars-CoV-2». Quanto a Fontana, per i giudici «ha operato nel solco di quanto previsto dal decreto-legge n. 6 del 2020 e ha correttamente fornito al Governo i dati a sua disposizione». E, a ogni modo, «la competenza» ad adottare provvedimenti come la zona rossa «era, in prima battuta, del Presidente del Consiglio».

Fontana: «Una ventatà di verità»

«Ci sono voluti tre anni di tritacarne, mediatico e giudiziario, per decretare l’assoluta infondatezza delle accuse sui camici, a cui si sono aggiunti sei mesi di altrettanta angoscia per vedere riconosciuto che il presidente Fontana si è sempre comportato secondo legge e secondo coscienza, non ha agevolato la pandemia e non ha causato i decessi a lui attribuiti», spiegano gli avvocati di Fontana, Jacopo Pensa e Federico Papa. «Una ventata di verità, per me e per chi con me ha lottato in prima linea contro il Covid», ha aggiunto lo stesso presidente Fontana.

Delusi familiari delle vittime

La notizia è stata accolta con amarezza dall’associazione dei familiari delle vittime: «Siamo sconcertati per quanto il sistema giustizia in Italia stia facendo nei confronti dell’inchiesta della Procura di Bergamo. Noi continueremo nel nostro percorso di denuncia e memoria perché siamo certi che le morti dei nostri cari siano state causate dalle omissioni sia a livello governativo che regionale. Per noi restano colpevoli».

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