Costi alti e lunghe attese: il 6,8% dei cittadini rinuncia a cure sanitarie

I DATI ISTAT. Incide la crisi economica, ma chi può permetterselo va in privato. Marinoni: «Investire risorse per potenziare il Ssn, altrimenti è a rischio». Leggi l’approfondimento su L’Eco di Bergamo in edicola giovedì 10 agosto.

Il bisogno c’è, eppure quella visita o quell’esame medico non viene fatto. Lo si salta perché non si riesce a prenotarlo, perché l’attesa sfianca, oppure perché occorrerebbe andare privatamente ma i costi sono troppo alti e non ce li si può permettere. Oltre il caleidoscopio di motivi, c’è un dato: in Lombardia – e dunque verosimilmente anche in Bergamasca – il 6,8% dei cittadini ha «rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie».

L’Italia si è «rimescolata»

Il calcolo è relativo al 2022 e viene dall’Istat, che ha passato in rassegna le regioni del Paese: la media nazionale si attesta al 7%, la Lombardia è sostanzialmente in linea (leggermente al di sotto, per due decimi percentuali). È però una classifica per certi versi sorprendente, perché l’Italia non è spaccata nella maniera più consueta, ma Nord e Sud sono rimescolati: in testa alla graduatoria c’è la Sardegna, dove ha rinunciato il 12,3% della popolazione, seguita dal 9,6% del Piemonte, mentre in coda – cioè è la regione più virtuosa – c’è la Campania, dove ha rinunciato solo il 4,7% della popolazione, e poi il Trentino-Alto Adige (5,3%).

Marinoni: «Sistema a rischio»

«Che ci sia una quota significativa della popolazione che rinuncia alle cure non è sorprendente», sospira Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo: «Alla base c’è un discorso generale sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale: o ci si mette mano, potenziandolo e investendo nuove risorse, o si scivolerà verso modelli diversi, ben più gravosi e rischiosi per i cittadini. Gli scenari sono questi».

E sarebbero scenari, se realizzati, totalmente diversi da quel sistema che a partire dal 1978 – con l’istituzione in Italia del Servizio sanitario nazionale – ha garantito, almeno nei princìpi, un sistema universalistico e gratuito: «O si sta sulla fiscalità generale, quindi continuando ad assicurare un servizio sanitario garantito dal pagamento delle tasse da parte di tutti, o si potrebbe scivolare in un sistema assicurativo puro – è l’allarme di Marinoni -. Il limite di questo modello, stile Stati Uniti, è ovviamente che è estremamente costoso, oltre che orientato alle diseguaglianze. Anche le famiglie di reddito medio – conclude – rischierebbero di non poterselo permettere, l’aumento dei costi sarebbe insostenibile. Dunque c’è una sola alternativa: rimanere sulla fiscalità generale, nell’interesse di tutti». E facendo sì che lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, aumenti gli investimenti: «Occorre adeguare la spesa – rimarca Marinoni -. Sistemi sanitari come quello inglese spendono circa 20 miliardi di euro più dell’Italia e sono comunque in difficoltà. Paesi come Germania e Francia, con un modello mutualistico, spendono 40-50 miliardi l’anno più dell’Italia e vanno meglio. Non dimentichiamo poi che in Italia c’è una grande asimmetria tra privati accreditati e parte pubblica, con una differenza molto evidente anche nei rapporti di forza in sede di governance del sistema».

Il post-Covid

In fatto di rinuncia a visite ed esami, si scorge ancora l’onda lunga della pandemia Covid e di un sistema che giocoforza era stato congestionato da un’emergenza sanitaria senza precedenti. Nel 2020 in tutta la Lombardia aveva rinunciato alle cure il 10% dei cittadini e nel 2021 si era saliti a una percentuale del 12,2%. Erano gli anni degli ospedali sotto stress per i ricoveri (prima) e per la campagna vaccinale (poi): ora si è appunto scesi al 6,8%, ma secondo l’Istat non si è ancora tornati ai livelli pre-Covid, visto che nel 2017-2018 aveva rinunciato «solo» il 5,4-5,6% della popolazione. «Ben vengano le risorse in più per tagliare le liste d’attesa e recuperare l’arretrato – commenta Marinoni -, ma servono scelte più macroscopiche sia in termini di finanziamento sia in termini di gestione del sistema».

«Incide la crisi economica»

Oggi incide un ulteriore fattore: con l’inflazione alle stelle, l’erosione del potere d’acquisto e i bilanci familiari difficili da far quadrare, le spese sanitarie pesano. Chi magari prima sceglieva di rivolgersi al privato per «tagliare» autonomamente la lista d’attesa, certo con un esborso di tasca propria, ora può permetterselo meno: «La crisi economica si legge anche sulle spese sanitarie. Purtroppo, ciò che sta accadendo è solo un assaggio dei rischi a cui potremmo andare incontro – è il monito di Marinoni -. Fin quando si ricorre al privato per la specialistica ambulatoriale, per alcuni è un vulnus superabile. Pensiamo però se il Servizio sanitario nazionale non reggesse nemmeno per il ricovero: privatamente, i costi sarebbero elevatissimi. Oppure pensiamo a cosa vorrebbe dire avere dei medici di base “privati”».

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