Coronavirus, perdita di gusto e olfatto
Maxi studio su centinaia di persone

Tra le ricerche più attese che aiuteranno a fare luce sulle conseguenze del coronavirus sull’attività cerebrale e sul sistema nervoso: lo studio dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.

Dici coronavirus e tutti pensano a una malattia che fa mancare il respiro. Polmonite, soprattutto. È naturale: questa è stata la manifestazione più visibile di questo male che in provincia di Bergamo ha causato seimila vittime. Le terapie intensive colme di pazienti intubati, i caschi respiratori, i saturimetri per chi ha combattuto a casa.

Solo il tempo e gli studi stanno aiutando a capire più a fondo questo virus così nuovo e letale, che ha mille facce. Ormai è chiaro: colpisce anche il cuore, i reni. E non solo, anche il cervello. Tra le ricerche più attese, che aiuteranno a fare luce sulle conseguenze del coronavirus sull’attività cerebrale e sul sistema nervoso, c’è quella iniziata da poche settimane dalla Neuroradiologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII guidata dalla dottoressa Simonetta Gerevini.

Le complicanze neuroradiologiche e alcuni sintomi neurologici, infatti, sono uno degli aspetti più sottovalutati, ma allo stesso più comuni. Pensiamo alla mancanza di gusto e olfatto, lamentata da migliaia di persone anche senza sintomi gravi. Oppure la stanchezza continua, l’irritabilità, il formicolio alle mani. Peggio, l’ischemia. O ancora deficit percettivi che possono mantenersi nel tempo, anche mesi dopo la guarigione dall’infezione. Per indagare tutte queste conseguenze, l’ospedale sta eseguendo esami approfonditi sulle persone che sono state ricoverate nei mesi scorsi e che ora stanno seguendo il programma di «follow up».

Tutto è iniziato nelle prime fasi della pandemia, quando è stato chiaro che i ricoverati presentavano eventi emorragici cerebrali. In quel momento si sapeva solo che i pazienti accusavano trombosi ed embolie. Poi si sono registrati, nelle situazioni più gravi, casi di ischemie. Ma sono emerse anche lesioni cerebrali non letali, ed ancora da comprendere appieno, che il Papa Giovanni studierà in modo sistematico per scoprire se sono direttamente collegate al coronavirus.

Spiega la dottoressa Simonetta Gerevini che sarà molto interessante capire se «le lesioni cerebrali sono collegate alla patologia Covid-19 oppure a un contesto infiammatorio, pro trombotico o a qualche altro aspetto che ancora non conosciamo, oppure non sappiamo valutare». Molti dei sintomi sono chiarissimi. «Tutti i malati, anche chi non è stato ricoverato, lamenta stanchezza profonda e difficoltà di concentrazione, oltre alla mancanza di gusto e olfatto. Eventi che possono rimanere anche per mesi. Significa che il sistema nervoso centrale e quello periferico sono stati attaccati. In che modo? Direttamente dal virus, come in alcuni casi di Sars e Mers? Lo verificheremo. Vogliamo capire come si ripercuote sul paziente e soprattutto se c’è un modo per evitare queste conseguenze».

Lo studio del Papa Giovanni è molto esteso e si basa sulla collaborazione con infettivologi ed esperti di deficit cognitivi oltre che sulla attenta valutazione della clinica neurologica svolta dai colleghi neurologi guidati dalla dottoressa Maria Sessa, direttore della Neurologia del Papa Giovanni. Lo studio prevede l’esecuzione di risonanze encefalo con apparecchio ad alto campo magnetico su centinaia di persone che sono state ricoverate, oppure che non sono state in ospedale, ma hanno un quadro neurologico alterato. «Per molti mesi gli effetti del virus sul cervello sono stati sottovalutati - continua la dottoressa Gerevini -, alcuni pazienti presentano alterazioni alla Risonanza magnetica encefalo non attese. Inoltre alcuni sintomi persistono anche dopo mesi. L’assenza di gusto e olfatto, ad esempio, sembra manifestarsi nella fase iniziale, prima della polmonite, ma anche dopo l’infezione. Molti pazienti riescono a recuperare senza problemi, altri no. Non sappiamo ancora se siamo di fronte a un danno serio del bulbo olfattorio. Vogliamo scoprirlo. Così come vogliamo scoprire se le alterazioni cerebrali che sono evidenti alla risonanza sono collegate alla gravità della malattia oppure alla durata della stessa. In qualsiasi caso, i risultati di questo studio saranno molto importanti per capire come si può intervenire».

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