Centri antiviolenza, un grido d’aiuto già da 1.046 donne

I DATI. In crescita l’attività dei Cinque centri bergamaschi. «La vera sfida è prevenire, a partire dai giovanissimi». L’approfondimento su L’Eco di Bergamo di mercoledì 20 novembre.

«Visti anche gli ultimi fatti di cronaca, l’attenzione ancora maggiore è rivolta soprattutto alle adolescenti. È bene che riconoscano i campanelli d’allarme che possano sfociare in relazioni violente: situazioni che già le donne adulte spesso faticano a riconoscere». Mentre analizzano i numeri delle donne che quest’anno hanno chiesto aiuto ai cinque centri antiviolenza della rete bergamasca, Cecilia Gipponi e Cinzia Mancadori, portavoci delle reti e da anni impegnate nel contrasto alla violenza di genere – alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che cade lunedì prossimo –, riflettono sull’attualità: «L’educazione degli adolescenti è fondamentale, così come quella dei loro genitori – spiegano – perché capiscano quanto sia importante intercettare i rischi e intervenire in tempo in maniera preventiva».

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Richieste in crescita

I dati, si diceva. Quest’anno sono state già oltre mille – precisamente 1.046 – le donne che si sono rivolte ai centri gestiti dalle cinque reti antiviolenza della Bergamasca (in tutta la Lombardia sono 28): dal 1° gennaio e fino al 19 novembre 323 hanno contattato la rete di Bergamo e Dalmine, 180 quella dell’Isola e della Valle San Martino, 48 la rete di Valle Brembana, Valle Imagna e Villa d’Almè, 258 la rete «Rita» dell’area Bergamo Est e 237 la rete «Non sei sola» di Treviglio e Romano.

«È cresciuta la capacità di intercettare le situazioni di rischio e tra le donne aumenta la volontà di chiedere aiuto»

Un dato in crescita, se si considera che in tutto lo scorso anno i contatti erano stati 1.067, già in aumento rispetto al 2022, quando erano stati 983 e del 2021, con 927 casi. Un aumento omogeneo in tutti i territori delle reti – che coprono l’intera provincia – e che, secondo le operatrici, è un dato positivo: «Significa che è cresciuta la capacità di intercettare le situazioni di rischio – spiegano – e tra le donne la volontà di chiedere aiuto». Un risultato che è frutto della collaborazione quotidiana e costante di tutti gli enti e gli organismi coinvolti nelle reti: «Tra le forze dell’ordine e la Procura registriamo inoltre un riconoscimento per le operatrici quali persone che possono fornire un supporto anche all’ascolto dei minori vittime di violenza, nella fase della cosiddetta audizione – rileva Mancadori –. I minori hanno infatti l’esigenza di essere ascoltati da personale qualificato».

L’autonomia abitativa

Tra i temi affrontati dalle operatrici delle reti e dei centri antiviolenza anche l’autonomia abitativa e lavorativa delle vittime. «L’impegno su questo fronte è grande, perché si tende a voler far tornare autonome le donne, restituendo loro una casa e un lavoro – rileva Mancadori –. Da due anni anche Aler aderisce a questo tema, attraverso un progetto che prevede la messa a disposizione di appartamenti fuori bando per queste donne. Si tratta di una grande occasione perché da un lato noi operatrici ci assumiamo l’onere della garanzia sul contratto d’affitto, mentre la Regione si accolla le spese dell’affitto stesso e condominiali. In questo modo viene garantita alle donne di poter vivere senza il pensiero di queste spese durante questa fase di ricostruzione della loro vita».

«La violenza domestica non è solo fisica e psicologica, ma coinvolge anche tanti altri aspetti della vita della donna: quello legale, ma anche casa e lavoro»

«È un passaggio fondamentale nel percorso di uscita dalla violenza – prosegue Cecilia Gipponi –, perché la violenza domestica non è solo fisica e psicologica, ma coinvolge anche tanti altri aspetti della vita della donna: quello legale, ma anche casa e lavoro. Il nostro obiettivo non è quello di essere delle stampelle per loro, ma di riportare le donne che sono uscite da storie di violenza alla loro libertà e autonomia a 360 gradi, compresa quella economica e abitativa».

«Serve un lavoro di prevenzione»

Le reti antiviolenza bergamasche sono state tra gli enti chiamati dalla Regione, lo scorso 29 ottobre, per un incontro con il «Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», in sigla Grevio, della Commissione europea, che in ogni Stato stanno incontrando le varie realtà nazionali per verificare l’applicazione della Convenzione di Instanbul «sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», a dieci anni dalla sua entrata in vigore. «Abbiamo potuto spaziare su tanti aspetti, dalla presa in carico delle vittime, fino alla prevenzione nelle scuole e tra i giovani – racconta Gipponi –: è stata un’occasione importante per raccontare la situazione dell’Italia, con una notevole responsabilità nel riferire i fatti che entreranno poi nella relazione analitica che sarà pronta l’anno prossimo».

«Partire dai giovanissimi, da come intavolano le relazioni e vivono il rapporto con l’altro»

Mancadori e Gipponi rileggono i dati di quest’anno ma hanno lo sguardo già al futuro: «Le sfide sono quotidiane e il problema è spesso a monte: quando interveniamo noi, la violenza è già stata spesso consumata – rileva Gipponi –. Per questo serve un lavoro di tipo socioculturale e antropologico di prevenzione, partendo dai giovanissimi, da come intavolano le relazioni e vivono il rapporto con l’altro, ovvero nel rispetto della libertà reciproca anche nelle imperfezioni».

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