Caserma ex Montelungo, degrado e rischio abusivi

IL REPORTAGE. Divelti i lucchetti e le catene, possibile accesso di abusivi dal cancello vicino all’ex caserma Colleoni. Aspettando la ristrutturazione, le strutture cadono a pezzi. Dopo anni di abbandono i lavori partiranno a fine anno.

A metà maggio è arrivata la notizia della chiusura dell’Accordo di programma e, contestualmente, anche l’annuncio dell’entrata nella fase esecutiva dell’iter per la riqualificazione e il restauro delle due ex caserme Montelungo e Colleoni, dopo anni di vicissitudini e di abbandono. Il futuro è già scritto: il gigante che riposa dal 1998 a due passi dal centro – su un’area di 23mila metri quadrati – si trasformerà in uno studentato universitario con oltre 450 posti disponibili.

Ma per un futuro ormai finalmente segnato, c’è un presente che rischia di diventare difficile da gestire. La situazione è quella che si vede nelle immagini pubblicate qui accanto, che testimoniano, oltre a uno stato di degrado frutto dell’incuria che dura da un quarto di secolo, anche evidenti segni di effrazione, che lasciano intuire come nelle scorse ore qualcuno si possa essere introdotto abusivamente all’interno del cantiere, forse per trovare un riparo o per nascondersi. Fotografie che è stato possibile scattare ieri mattina, dopo che l’entrata di viale Muraine, tra la torre del Galgario e la rotonda tra via Cesare Battisti e via San Giovanni, è stata forzata e il grande cancello di ferro che da anni chiude l’accesso alla piazza d’armi (dopo la demolizione di una parte del corpo di fabbrica) è stato spalancato. Per terra ci sono il lucchetto e la catena che lo tenevano chiuso, sulla soglia un cartello di divieto di sosta in metallo, probabilmente scansato durante l’apertura e poi rimesso al suo posto. L’area interessata è quella è quella più vicina all’ex caserma Colleoni. All’interno lo spazio è delimitato da un’alta recinzione, oltre la quale s’intravede anche l’area in cui anni fa furono ritrovati dei reperti archeologici.

Oggigiorno quel che resta di decenni di attività militare sono cumuli di polvere, ringhiere arrugginite, muri slabbrati e soffitti bucati.

Le due ex caserme rappresentano oggi uno dei pochi esempi rimasti in città di edifici abbandonati e il rischio di occupazione da parte di malintenzionati e senzatetto è alto. Fino a questo episodio non si erano registrati altri episodi di effrazione. Ora però il problema sussiste, anche perché la zona non è sorvegliata. Ci avventuriamo nell’enorme piazza d’armi oggi ricoperta di vegetazione e di piccole paludi che assomigliano molto alle sabbie mobili. Gli edifici sono pericolanti, ma anche il terreno nasconde delle insidie. Facciamo attenzione ad ogni passo, zigzagando per trovare il passaggio più sicuro. In mezzo al piazzale, lungo una frattura nel terreno che divide in due tutta l’area, è cresciuta una piantagione di «tifa latifoglie», una pianta della famiglia delle Typhaceae (più conosciuta come giunco), che si sviluppa solitamente lungo gli argini dei fiumi o in prossimità di acque stagnanti. Qui sfiora i due metri di altezza e richiama a contesti bucolici proprio nel cuore della città.

Avvicinandoci a quelle che un tempo erano le cucine della caserma, i venticinque anni di abbandono dei locali che allora ospitavano anche camerate, uffici, refettorio e locali di servizio si sentono tutti. Chi da queste parti non è mai passato quando le due caserme erano in servizio, può solo immaginare come fossero organizzate queste stanze: oggigiorno quel che resta di decenni di attività militare (migliaia le persone transitate da qui, anche per il servizio di leva) sono cumuli di polvere, ringhiere arrugginite, muri slabbrati e soffitti bucati. L’acqua scende anche dal tetto, corrode i pavimenti e colora le pareti. È tutto ciò che non si vede dall’esterno, che è stato messo più volte in sicurezza per il pericolo di caduta di intonaci e calcinacci. Dentro, quasi tutto quel che poteva cadere è già caduto. Qualche lampadina, appesa a un filo, ancora resiste, così come alcuni vetri – pochi in verità – alle finestre. Quel che non è stato già abbattuto dei due edifici riveste un certo interesse storico e architettonico. Per riqualificarlo serviranno tempo e denaro, ma dopo anni di tentennamenti e di ritardi, ora le basi ci sono. I cantieri dovrebbero partire entro la fine dell’anno e in meno di altri cinque anni la nuova cittadella universitaria potrà vedere la luce, in un contesto cittadino che sarà profondamente diverso da quello odierno, anche per effetto del completamento della nuova Gamec all’ex palazzetto dello sport, il cui cantiere sta procedendo a grandi passi.

Manca poco all’apertura del cantiere: l’approvazione dell’ultimo atto integrativo dell’Accordo programma segna l’inizio di una svolta

Preoccupa, però, la facilità con la quale è stato possibile aprire un varco che rappresenta un invito a chiunque ad appropriarsi di questi luoghi. Ci sono tante stanze, anche al pianterreno, che si prestano a diventare un riparo per chi un tetto non ce l’ha, ma di tutto si può parlare, fuorché di locali sicuri. Dentro non c’è più nulla, anche i passi rimbombano nel vuoto, e ci sono buchi nel pavimento riempiti di terra. Nel pomeriggio di ieri sono stati avvisati sia Cdp che il comando di Polizia locale, per provvedere alla chiusura. Sarà necessario anche capire se nel frattempo qualcuno lì dentro ci avrà messo le tende.

Manca poco, intanto, all’apertura del cantiere: l’approvazione dell’ultimo atto integrativo dell’Accordo programma segna l’inizio di una svolta che ora si deve tradurre con l’inizio vero e proprio dei lavori. Il documento ha recepito di fatto la proposta per il recupero urbanistico delle ex caserme con finalità soprattutto pubbliche, avanzata dalla Società milanese di investimenti «Redo Sgr» e sancito l’intesa con i due azionisti del fondo immobiliare che svilupperà l’operazione, il Comune di Bergamo e Cassa Depositi e Prestiti, e con gli altri sottoscrittori dell’Accordo, vale a dire l’Università di Bergamo e Regione Lombardia.

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