Carenza di medici, Franco Locatelli a “L’Eco”: «Questa professione va resa più attrattiva»

L’INTERVISTA. Il presidente del Consiglio superiore di sanità: «Incentivi per alcune specialità».

Il presente della sanità, il futuro dei medici. E dunque dei cittadini, perché la salute è un mosaico fatto di tanti tasselli, con la persona al centro. Nel grande dibattito sulla medicina, però, il convitato di pietra è sempre lo stesso: le risorse economiche. «È fondamentale investire di più, portando almeno, e sottolineo almeno, al 7% la spesa sanitaria rispetto al Pil».

Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, lo ribadisce osservando con sguardo pieno alla situazione del sistema sanitario nazionale. Che affronta continue sfide, come quella delle «crisi di vocazioni» per i pronto soccorso o per la medicina generale, con ripercussioni concrete. Sullo sfondo s’intrecciano i tanti temi d’attualità, come l’inverno alle porte, con i virus respiratori e le vaccinazioni «di stagione».

«È fondamentale investire di più, portando almeno, e sottolineo almeno, al 7% la spesa sanitaria rispetto al Pil»

Oggi in alcune discipline mancano i medici. Allo stesso tempo, nelle scuole di specialità restano vuoti molti posti proprio in quei corsi dove c’è più bisogno di formare nuovi medici. Siamo di fronte a un corto circuito?

«Oggettivamente, e lo dico come uomo di sanità pubblica, i numeri sono preoccupanti. Per alcune specialità abbiamo il 100% di assegnazioni, come per Chirurgia plastica, Dermatologia, Cardiologia, Oftalmologia, Pediatria. Per altre, invece, il dato inquieta: per Medicina di emergenza-urgenza siamo solo al 30%, per Anatomia patologica al 47%. Tutto ciò non può lasciare indifferenti, anche guardando a quelle che saranno le ricadute future. Più che un problema di carenza di medici, c’è una non omogenea distribuzione. Quelle specialità che consentono maggiori sbocchi di attività libero-professionale e ritorni più remunerativi sono ipergettonate, altre sono chiaramente penalizzate».

Che fare?

«A titolo personale, credo debba essere aperta una riflessione su come incentivare le iscrizioni a queste specialità, pensando eventualmente anche a compensi diversificati. Pagare di più gli specializzandi, e magari incentivare il salario mensile una volta poi formati ed entrati nel Servizio sanitario nazionale, credo sia un meccanismo da tenere in considerazione. Così come è ovvio, per chi lavora nel settore dell’emergenza-urgenza, che occorre anche riuscire a garantire maggior sicurezza rispetto alle aggressioni».

Leggi l’intervista completa su L’Eco di Bergamo del 9 ottobre

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