Carcere sovraffollato: Bergamo ottava in Italia

L’EMERGENZA . Accoglie 523 detenuti a fronte di una capienza di 317 posti. «Per tanti unico rifugio, basso accesso alle misure alternative: tempi lunghi».

Il paradosso del carcere sta forse in un dato più degli altri. Dei 409 detenuti definitivi della casa circondariale di Bergamo, ben 296 hanno un residuo di pena inferiore ai 4 anni: potrebbero accedere a misure alternative, invece sono ancora lì. È un limbo invisibile dove burocrazia e marginalità s’intrecciano, strette nell’enorme mole di lavoro della magistratura di sorveglianza e nella fragilità di chi non ha una casa e un lavoro, e che dunque nel carcere ha l’unico rifugio. Ma è un rifugio affollato, precario, aspro. Lo dicono i numeri, lo raccontano le vite e le impressioni.

In totale via Gleno accoglie 523 detenuti (oltre ai 409 «definitivi» ce ne sono oltre un centinaio in attesa dei diversi gradi di giudizio), a fronte di una capienza di 317 posti, ed è l’ottavo carcere italiano per affollamento; i reclusi con problemi di tossicodipendenza sono circa 300, e il 60% di questi (cioè 180) ha problemi di tipo psichiatrico.

La visita in carcere di «Nessuno Tocchi Caino»

Nessuno Tocchi Caino, associazione radicale che della giustizia ha fatto la propria bandiera, ha avviato così «un viaggio della speranza», come lo definisce il segretario Sergio D’Elia, visitando in questi giorni le strutture del Nord accanto agli avvocati: ieri erano a Bergamo, quattro ore di «ispezione» accompagnati dalla direttrice di via Gleno, Teresa Mazzotta, dalla polizia penitenziaria e dalla garante dei detenuti Valentina Lanfranchi; venerdì erano a Brescia, da domani saranno tra Monza, Lecco e San Vittore. «Il sentore – racconta Enrico Pelillo, presidente della sezione bergamasca delle Camera penale della Lombardia orientale – è che Bergamo e Brescia siano accomunate anche dallo stato di degrado delle carceri, disservizi che portano un nocumento in quella che dovrebbe essere la funzione rieducativa della pena». Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, snocciola cifre, critica il sistema più che la struttura: «Lo staff dirigenziale del carcere è di altissimo livello. Alcune aree sono state recentemente ritinteggiate col lavoro retribuito dei detenuti, un’azione importante della direttrice, ma il primo dato che si riscontra in tutte le carceri è il sovraffollamento».

«È il problema essenziale – lo definisce Stefania Amato, vicepresidente delle Camera penale della Lombardia orientale –. Servono interventi legislativi, ce li chiedevano anche i detenuti. A livello territoriale c’è il ruolo della magistratura di sorveglianza, ma ogni giudice ha più di 500 fascicoli da gestire: ne consegue una dilatazione dei tempi, le difficoltà nell’accedere a misure alternative. Nella prospettiva della giustizia riparativa crediamo molto». Le carenze toccano anche la polizia penitenziaria, con 132 agenti «impiegabili» contro i 243 «previsti».

Per Barbara Bruni, segretaria della Camera penale di Bergamo, «chiunque lavori in questo campo dovrebbe far visita all’interno del carcere». Dell’importanza dello studio ha parlato Francesco Morelli, professore di Diritto processuale penale all’Università di Bergamo: «L’impegno dell’ateneo è forte, sia sui corsi sia sulla giustizia riparativa».

Disagio e autolesionismo

Lo studio è l’evasione culturale da spazi sempre angusti. Sergio D’Elia li ha misurati, usando i passi come unità di misura e solcando il perimetro delle celle: «4,5 metri di lunghezza per 2 di larghezza, più un bagno da 4,5 metri per uno: ma sono in gran parte occupati da letto, armadi, frigoriferi, cumuli di vestiti. Secondo noi non sono rispettate le regole minime di decenza, in alcune celle non funzionano le docce». Quando la delegazione è entrata nella «sezione protetti», D’Elia ha visto «un detenuto che aveva appeso una sorta di cappio. Ripeteva: se rimarrò in isolamento, quella è la soluzione». Sono stati avvisati gli agenti, che hanno rimosso l’oggetto. Un suicidio s’è verificato a marzo: «Era alla prima carcerazione – racconta Bernardini –, il momento più delicato». Nelle carceri dilagano poi farmaci e psicofarmaci: «Detenuti che devono ricevere dei farmaci – è il meccanismo spiegato da Bernardini – non li assumono e li cedono invece a chi ha bisogno di stordirsi, in cambio di qualcosa. Così funziona ovunque».

Una giudice nella delegazione

Il dialogo è stato il filo di quest’esperienza. Nella delegazione era presente anche Marina Cavalleri, giudice del Riesame di Brescia: «È stata un’esperienza preziosa – rimarca il magistrato –, sarebbe utile rendere obbligatorio per tutti gli operatori di giustizia una visita periodica nelle carceri per constatare direttamente la situazione». Uno dei problemi, rileva la giudice, «è il bassissimo accesso alle misure alternative. Le tempistiche lunghe non aiutano, queste misure sarebbero da incentivare ma c’è un oggettivo carico burocratico. A ciò si aggiunge una questione sociale, le difficoltà di molti detenuti che non hanno casa o lavoro e non riescono ad accedere alle misure alternative benché ne abbiano i requisiti». Ne ha parlato anche il sindaco Giorgio Gori in una lettera pubblicata ieri da «La Stampa»: «La situazione delle carceri italiane è allarmante. Anche quella degli istituti penitenziari gestiti con impegno e competenza, come il carcere di Bergamo».

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