Brexit e risparmi
Meno efficienza

La Brexit, se e quando ci sarà, porterà via all’Europa la più importante piazza finanziaria. Ci saranno dei problemi o possiamo stare tranquilli? E riguarderà solo i grandi operatori o anche i piccoli risparmiatori? Nell’immediato sembra essere tutto sotto controllo, ma nel medio andare qualche svantaggio ci sarà. Vediamo perché. Intanto ricordiamo che l’importanza di Londra nella finanza mondiale è superiore perfino a quella di New York.

Il sistema bancario del Regno Unito vale 8 mila miliardi, quello della Germania 5, e per avere un’idea, quello italiano solo 3.500; il settore assicurativo inglese è il quarto al mondo e rappresenta il 20% della raccolta premi di tutt’Europa; il 37% del trading sulle divise e il 15% dei prestiti internazionali sono basati a Londra; 8 mila istituzioni finanziarie europee hanno una sede a Londra e 5.500 inglesi hanno uffici in altri paesi dell’Unione. I piccoli risparmiatori e in generale le famiglie e le piccole imprese non lo sanno, ma molti dei loro fondi comuni sono gestiti nella City e molte polizze assicurative sono riassicurate presso compagnie del Regno Unito. Dunque il tema non concerne solo i grandi operatori ma, indirettamente, anche le persone normali.

Ognuno comprende che recidere questo enorme braccio operativo dall’Unione europea non sarà senza conseguenze, perché la possibilità delle istituzioni finanziarie di interagire fra loro, anche nell’interesse dei loro clienti, si fonda sulla compatibilità delle legislazioni di entrambi gli intermediari. Serve una comune base in termini autorizzazione delle autorità di vigilanza, di contrattualistica, di controlli, per esempio a fini di antiriciclaggio, occorrono piattaforme di regolamento (trasferimento dei fondi e dei titoli). Fino a oggi le banche inglesi, in quanto appartenenti all’Unione Europea sono considerate istituzioni domestiche. Ma se una notte il Regno Unito uscisse dall’Europa senza adeguata preparazione, l’indomani mattina sarebbero tutte extracomunitarie e per di più appartenenti a un Paese con cui non abbiamo trattati per il mutuo riconoscimento. Questo avrebbe pesanti ricadute perché ogni operazione, anche un banale investimento in un fondo comune, sarebbe complicata come mandare dei soldi a Panama o alla Caymans e ogni flusso di denaro dalla Gran Bretagna diventerebbe un’operazione sospetta. Le banche dovrebbero aumentare le riserve per i prestiti e i titoli inglesi. Un bel pasticcio insomma.

Per fortuna, sin d’ora le istituzioni finanziarie si sono attrezzate in modo opportuno e il nostro Governo ha predisposto un decreto per gestire il problema in un periodo transitorio di 18 mesi. Ma dopo cosa accadrà? È ragionevole pensare che sotto il profilo tecnico non ci saranno scossoni e tutto continuerà a funzionare secondo i ben oliati meccanismi di oggi. Il problema è che l’Europa perderà gran parte della sua industria finanziaria, visti i numeri di Londra. Molte banche inglesi si stanno ricollocando sul continente, soprattutto a Parigi e a Francoforte, ahimè pochissimo a Milano, ma non saranno più una costola dell’economia dell’Unione. Non verrà meno l’offerta di servizi finanziari sul territorio, ma perderemo quel ruolo di leadership che oggi l’appartenenza di Londra al nostro sistema ci garantisce. La City verrà attratta sempre più nella sfera americana e asiatica, soprattutto cinese (che infatti tifano per la Brexit) e il nostro sistema finanziario sarà un po’ meno efficiente. Anche gli inglesi saranno un po’ più soli, e non solo in campo finanziario. Gli sarà convenuto?

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