Bonus mamme, la beffa in busta paga. Lo sgravio fiscale viene «tagliato» dalle tasse

IL CASO. I primi effetti per le lavoratrici con almeno 2 figli iniziano a vedersi: su 80 euro di contributi almeno 30 vanno nell’Irpef. I sindacati: misura limitata.

I primi effetti iniziano a vedersi solo ora nelle buste paga. Che sono sì più pesanti, ma anche con qualche effetto collaterale: il «bonus mamme lavoratrici», previsto dalla legge di Bilancio approvata a fine dicembre e diventato concreto nelle scorse settimane dopo la circolare esplicativa dell’Inps, rischia per certi aspetti di rivelarsi una beffa parziale. Un aiuto effettivamente c’è, ma i meccanismi legati al reddito ne erodono sostanzialmente una parte. Esempio concreto: su 80 euro «aggiuntivi» in busta paga (una delle casistiche-tipo), quasi 30 euro vanno persi nelle tasse che aumentano.

Un passo indietro. Il bonus – in vigore fino al 2026 – prevede l’esonero della contribuzione previdenziale (fino al 9,19% della retribuzione) per un massimo di 250 euro al mese, cioè 3.000 euro annui in totale, per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che abbiano almeno tre figli, sino al compimento del 18° anno del figlio più piccolo. Per il 2024, in via «sperimentale», il bonus è esteso anche alle donne con due figli, di cui il più piccolo di età inferiore ai 10 anni.

Gli effetti sul reddito

Un’analisi della Fisac (Federazione italiana sindacato assicurazioni credito) Cgil mette in luce però un cortocircuito in parte analogo a quanto già si sta verificando per l’assegno unico. Anzi, i due temi sono potenzialmente connessi. Il punto centrale, stavolta, è che il bonus determina anche un aumento dell’Irpef, cioè dell’imposta sul reddito. La diminuzione delle trattenute contributive «libera» infatti del reddito aggiuntivo per le lavoratici, che si trovano così buste paga più consistenti; l’incremento del reddito fa però crescere anche l’Irpef, con conseguente pagamento di più tasse. La Cgil ha così realizzato alcune simulazioni. Una lavoratrice con figli con un reddito lordo mensile di 2mila euro avrà un esonero contributivo di 64 euro: la retribuzione netta sale però «solo» di 49 euro, perché ci sono 15 euro di Irpef in più da pagare. Su una busta paga da 2.500 euro lordi mensile si pagano invece 80 euro di contributi in meno, ma la busta paga sale effettivamente di 52 euro (28 euro vanno nell’Irpef). Se il reddito lordo arriva a 3mila euro mensili, lo sgravio contributivo arriva a 250 euro (il bonus è più «premiante» coi redditi più alti): per il meccanismo dell’Irpef, però, la retribuzione netta cresce però «solo» di 163 euro. Oltre i 3mila euro non cambia sostanzialmente nulla. Solo in seconda battuta si potrà comprendere poi l’effetto del bonus mamme sull’assegno unico per gli anni a venire (non per il 2024). L’importo dell’assegno unico è infatti determinato sulla base dell’Isee, e l’Isee è legato al reddito: se si alza il reddito si alza anche l’Isee, e il rischio è quello di finire in uno scaglione di livello superiore, che porta a un sussidio più basso.

«Servono misure strutturali»

Per Marco Toscano, segretario generale della Cgil Bergamo, «l’impatto del bonus è limitato». Per più motivi: «Al di là dei meccanismi legati al reddito, la platea è esigua – spiega –: secondo i dati del nostro Caaf, è interessato circa il 9,5% delle lavoratrici se si guarda a quelle con due figli, e si scende al 4% considerando quelle con tre figli. Il sostegno alla famiglia non può essere solo un bonus: servono invece interventi strutturali legati all’organizzazione del lavoro, a una maggiore flessibilità per tutta la famiglia per redistribuire i carichi di cura, servizi per l’infanzia. In Europa c’è una correlazione evidente: dove ci sono più servizi per l’infanzia c’è maggiore occupazione femminile, e dove c’è maggiore occupazione femminile c’è maggior natalità. Sono temi centrali soprattutto per le giovani donne, che spesso si dimettono tra i 25 e i 40 anni per la nascita di un figlio. Anche i dati sul mercato del lavoro in Bergamasca indicano che tra i 24 e i 35 anni l’occupazione maschile è al 92%, mentre quella femminile è al 68%». «Ogni intervento a favore delle famiglie è positivo – premette Francesco Corna, segretario generale della Cisl Bergamo –, ma noi insistiamo per misure strutturali per sostenere natalità e occupazione femminile. È vero che per mantenere l’equilibrio demografico servirebbero tre figli, come indica anche questo bonus, ma è anche vero che farsi carico del primo o del secondo figlio non è meno gravoso: il sostegno deve essere per tutti i figli. Gli sforzi devono essere maggiori, in tutte le direzioni, sia sul fronte del reddito delle famiglie sia nell’ambito della conciliazione vita-lavoro». Posizione critica quella della Uil Bergamo: «Questo bonus – rileva il coordinatore territoriale Pasquale Papaianni – lo abbiamo contestato sin dalla legge di bilancio, perché è una disparità nei confronti di chi ha un solo figlio. È una misura non aderente alla realtà, non c’è equità sociale. È certo necessario sostenere la natalità, ma servono misure diverse, più ampie».

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