Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 08 Giugno 2020
Bambini esposti a uno stress acuto
La psicologa: «C’è fame di routine»
La psicologa del consultorio Scarpellini. «Difficile gestire il lavoro da casa: ci sei ma non per me». Emerge la fatica nel gestire le emozioni: «Aiutiamoli».
La fatica di riabituarsi alla vecchia routine, pur con tutte le cautele imposte da ciò che ci siamo appena lasciati alle spalle. La paura del contagio, di toccare gli altri bambini, di incontrarsi. Alla fine, per tanti bambini immersi giocoforza in questo lockdown di cui ora si contano danni e frutti, «tanta fatica nel gestire le emozioni».
C’è chi all’improvviso rifiuta le videolezioni che, felici loro, stanno finendo, chi piange più o meno sommessamente, tenendosi dentro timori più o meno gravi. Chi invoca regali o bisogni che papà e mamma circoscrivono alla voce «capricci».
«È un modo per attirare attenzione: i genitori sono a casa ma devono lavorare in smartworking: non tutti i bambini capiscono perchè ci sei ma non ci sei per me. E scattano le reazioni». Non solo. Valeria Perego, psicologa al consultorio diocesano Scarpellini in città, al Conventino, spiega che «la fatica dei piccoli è uscita nel lungo termine, proprio ora che l’isolamento è finito: dopo un po’, dopo puzzle, giochi, disegni, i genitori non sanno più che proporre, inoltre c’è da considerare che i tempi di attenzione dei più piccoli sono diversi, quindi non è raro che il proprio figlio si spazientisca e si ribelli».
Dottoressa Perego, il lockdown ci ha destabilizzati un po’ tutti. Quali sono le emozioni maggiormente espresse dai bambini in questa fase delicata?
«I bambini come gli adulti sono stati vittima di stress, uno stress acuto e ripetuto per tempo, per diversi mesi. Alcuni genitori riferiscono di figli che fanno i capricci, hanno comportamenti ritenuti inaccettabili. Sappiamo che dietro al capriccio c’è sempre un bisogno non soddisfatto. Può aver fatto la differenza come l’adulto sia riuscito a fare da mediatore, dando le informazioni giuste sul Covid e questa situazione, per far capire, ma allo stesso tempo non essere spaventati. Nel racconto delle persone che abbiamo in carico al consultorio emerge la grande fatica dei bambini nella gestione delle emozioni. Da un lato, alcune emozioni faticose proprie dei bambini, e altre mutuate dagli adulti, i figli fanno da specchio alle difficoltà che si vivono in famiglia. Nel ménage familiare è emersa la grande difficoltà di gestire casa e lavoro a casa: un conto è mettersi un minuto in pausa dal lavoro al computer e accendere la lavatrice, un conto stare con i propri bambini che, avendo addosso questo stress, avevano richieste maggiori in questo periodo. Perché ci sei ma non ci sei? Si chiedono. Allora attirano la nostra attenzione e scatenano un comportamento “capriccioso”».
Quindi tutto sommato, chi può, ora è meglio torni al lavoro in azienda?
«Sicuramente questa esperienza ci ha fatto capire che ci sono cose che si possono fare in modo diverso. Si può anche pensare di restare a lavorare a casa il lunedì e il venerdì. Si può tornare alle routine di prima, ma con una riflessione sugli aspetti positivi che possiamo far traslare dall’emergenza coronavirus a una nuova quotidianità».
C’è di mezzo anche la routine.
«Ci sono bambini che hanno fatto fatica ad abituarsi, con l’isolamento, alla nuova routine e ora che si può uscire, mostrano fatica a riabituarsi a abitudini precedenti e manifestano paura del contagio, di toccare gli altri bambini, di incontrarsi».
Fatica che sfocia in rabbia, paura, tristezza: emozioni che spaventano i genitori.
«Il significato dell’emozione è che è sempre giusta nel momento in cui manifesta ciò che si sente. Culturalmente siamo ancora una generazione che dice: è sbagliato ciò che provi, non devi essere arrabbiato. Ma l’emozione è giusta perché è un sentire. Il bimbo deve sentire che il genitore è capace di accoglierla e mediarla. Non sempre però è così: ci sono genitori che fanno fatica a distinguere l’emozione dal comportamento. Un esempio: che tu sia arrabbiato è giusto, che tiri in testa a tua sorella il telecomando no, devi riuscire a incanalare l’emozione in comportamenti non autolesivi come possono essere graffi, tagli negli adolescenti, lanci o la distruzione di un oggetto simbolico».
Incanalare. Come, se fino a poco tempo fa non si poteva nemmeno uscire di casa per una sgambata?
«Anche prendendo a pugni un cuscino, il “cuscino della rabbia”, comprato apposta e pronto in un angolo della casa per sfogarsi. Quando è faticoso, possono anche essere gli adulti che aiutano a convogliare. In generale tutte le emozioni vanno legittimate, si devono aiutare i bambini a parlare, a raccontare. L’adulto può dire: sarai più forte, so come ti senti, ma in realtà non sappiamo come si sente. Poi lo si può aiutare dicendo: sai che capita anche a me? Ad esempio la gelosia tra fratelli: sai che anche io quando ero piccolo ed è nato lo zio facevo così? Provo a dirti che anche alla mamma quando è arrabbiata verrebbe da fare così, invece ha trovato una soluzione. Far finta di nulla non aiuta».
E quando si assiste a reazioni improvvise e violente, con insulti mai sentiti prima o pianti irrefrenabili?
«Ognuno di noi ha un limite di tolleranza rispetto all’attivazione emotiva, può esserci un range più o meno ampio e dipende dalle esperienze personali. Quando ci troviamo in uno stato di iperattivazione, siamo fuori dalla nostra finestra di tolleranza e non ci si sente più sicuri, c’è un momento di perdita di controllo, un eccesso anche in termini di intensità, di paura ma anche di gioia. Esiste anche il contrario: casi di bambini che hanno esperienze non sufficientemente varie e valide, vittime di scarsa attenzione, hanno a disposizione meno possibilità di sperimentare le emozioni e possono essere ipoattive. La caratteristica che fa fare fatica alle persone nel momento del panico è l’incontrollabilità, la paura della paura che mi fa venir paura. I bambini hanno vissuto uno stress acuto: bisogna capire cosa è arrivato dai genitori ai bambini, perché se passano un’emozione scollegata dai contenuti, si rischia che i bambini siano molto spaventati. Hanno bisogno di capire, sennò tutto là fuori diventa pericoloso».
Per sentirsi meno soli possono tornare utili anche i giochi di ruolo online? Perfino quelli sparatutto? Dopo tutto, mettono in connessione con gli altri giocatori, con gli amichetti.
«Per i più piccoli non mi verrebbe da consigliare una modalità di relazione a distanza, anche perché hanno più bisogno di muoversi, di avere stimoli per il proprio corpo che sta crescendo. È pur vero che nella fascia fino a 10 anni non è davvero un gioco di relazione: i grandi mentre giocano online chattano, si videochiamano, parlano, mentre con i piccoli non è pensabile. Diverse le videochiamate ai nonni o all’amica».
Quali strumenti o aiuti può suggerire ai genitori?
«Avere delle routine, mantenere il più possibile il sonno, abbiamo bisogno di dormire più che mangiare e bere, la mancanza di sonno incide su tutte le funzioni. Altro consiglio, parlare delle proprie emozioni con il proprio partner o anche saper chiedere aiuto nei casi di maggior difficoltà».
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