Cronaca / Bergamo Città
Domenica 23 Febbraio 2020
Azzano, resta l’omicidio volontario
Ma la Cassazione ha dubbi sul carcere
La Suprema corte non modifica l’ipotesi di reato riconosciuta dal Riesame a carico di Matteo Scapin, l’uomo che l’agosto scorso ha travolto e ucciso i giovani Luca Carissimi e Matteo Ferrari. Annullata invece la massima misura cautelare: «Motivazioni carenti, serve una nuova valutazione».
Nessuna indicazione e nessun intervento per quanto riguarda la qualificazione giuridica del reato, solo una censura – che ora il Tribunale del Riesame di Brescia dovrà valutare – per quanto riguarda la motivazione della misura cautelare della custodia in carcere.
Questo nella sostanza e in sintesi l’intervento della Corte di Cassazione in relazione al caso di Matteo Scapin, 33 anni, agli arresti domiciliari per omicidio stradale per aver travolto e ucciso con la sua auto ad Azzano il 4 agosto scorso Luca Carissimi e Matteo Ferrari, 21 e 18 anni, con cui poco prima aveva litigato in discoteca e che viaggiavano su uno scooter.
La Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi dagli avvocati del trentatreenne, Andrea Pezzotta e Riccardo Tropea, contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia che, a settembre, sparigliando le carte, aveva accolto il ricorso del pm Raffaella Latorraca e riportato l’accusa a omicidio volontario e la misura cautelare al carcere. Ma andiamo con ordine. Dopo l’impatto col motorino, Scapin, che era in auto con la fidanzata, si era allontanato dal luogo dell’incidente e solo in un secondo momento era stato arrestato: per il pm Raffaella Latorraca si era trattato di omicidio volontario, per il giudice delle indagini preliminari Vito di Vita, invece, di omicidio stradale aggravato dallo stato di ebbrezza e omissione di soccorso. Proprio la riqualificazione in sede di interrogatorio aveva portato alla scarcerazione di Scapin, passato quindi dal carcere ai domiciliari.
Il pm aveva però fatto appello contro entrambi i punti, la riqualificazione del reato e la scarcerazione. Il 24 settembre il Tribunale del Riesame di Brescia le ha dato ragione: per i giudici bresciani ci sono «tutti gli elementi per poter affermare che l’investimento delle vittime da parte di Scapin non sia stato determinato da una condotta colposa del predetto, bensì da intenzionalità e, quindi, da dolo»; non solo, avevano anche scritto: «La condotta reattiva di Scapin denota indubbiamente la totale incapacità di contenere anche parzialmente le proprie pulsioni violente sicché deve essere escluso che egli abbia capacità di autocontrollo con conseguente individuazione, quale argine al rischio di ricaduta, della massima misura restrittiva», vale a dire il carcere.
Per i difensori l’ordinanza del Riesame pecca quando utilizza elementi successivi delle indagini, ma anche quando cerca di motivare la ricostruzione del fatto e riqualifica il reato in omicidio volontario, e infine quando motiva in modo lacunoso e illogico sulla necessità del carcere. Proprio quest’ultimo punto è quello – si è scoperto sabato 22 febbraio dalle motivazioni depositate – accolto dalla Suprema corte: i giudici bresciani avrebbero dovuto motivare con «concrete e specifiche ragioni» la necessità assoluta del carcere, proprio perché il pericolo di reiterazione del reato «deve essere non solo concreto ma anche attuale (…); è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti».
Motivazione che non è stata data dal Riesame, che quindi dovrà nuovamente pronunciarsi nelle prossime settimane (ancora non è stata fissata udienza). La Cassazione invece nulla dice in punto qualificazione del reato: si tratta di una questione di merito, non di legittimità, quindi non è valutabile dalla Suprema corte. Aggiunge però che «la motivazione del provvedimento impugnato è esente» dalle questioni sollevate, che è «ineccepibile la valutazione del Tribunale distrettuale in riferimento alla versione difensiva» e che «pari attenzione è stata riservata alle valutazioni delle immagini registrate», quasi come a evidenziare un lavoro nel suo complesso corretto.
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