Cronaca / Bergamo Città
Domenica 27 Gennaio 2019
Accompagnare il dolore con il sorriso
«Perché il malato non si senta mai solo»
I volontari dell’associazione Anmic sono gli angeli al volante delle persone che hanno difficoltà a spostarsi da casa. L’appello: cerchiamo nuovi volontari.
Vito la guarda prima negli occhi, annebbiati dalla malattia, e con un movimento lento le sistema la sciarpa al collo. Fa freddo, e quell’impercettibile gesto non passa inosservato alla figlia della donna, che accompagna la mamma malata, che è stanca e oppressa dal peso della fatica, delle responsabilità. Poi c’è tutta la procedura della sedia a rotelle, la fatica di muovere un malato immobile, che non collabora. Ma Vito parla alla donna, inizia a raccontare pezzi della sua vita, di quando diventerà nonno, del suo lavoro in banca, della pensione.
Parole e sentimenti
In viaggio con i volontari dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili si perde il senso del dolore: in quei minuti di strada da una casa di malattia e affanno fino a un luogo di cura e dottori, c’è un microcosmo fatto di parole e sentimenti. Ci si rincuora a vicenda, si parla di umanità ma soprattutto di quotidianità, per uscire dalla malattia, almeno per un tratto di strada. Vivono così la loro azione quotidiana i volontari dell’Anmic, angeli custodi che fanno avanti e indietro dalle abitazioni degli associati, ma anche dagli ospedali, dai centri sociosanitari. Sono volontari UICiBe ( Unione invalidi civili di bergamo), la Cooperativa sociale di cui da anni è il presidente Ferruccio Bonetti e che svolge tutte le attività di servizio ai soci Anmic e a tutti i disabili bergamaschi. I malati o i familiari chiamano e loro li vanno a prendere e li accompagnano. Ma a modo loro. Con l’attenzione al gradino, alla buca che potrebbe dar fastidio. Sistemando la coperta, senza dimenticare una parola di conforto anche al familiare, che spesso ha bisogno di fare due parole, di uscire da una routine.
«Facciamo quello che sentiamo»
Sono uomini e donne, per lo più pensionati: niente corsi di formazione, niente istruzioni o decaloghi di comportamento. «Non servono, facciamo quello che sentiamo, anche perchè qui non c’è obbligo, c’è solo emozione». Vito Vallin ha 69 anni ed è un pensionato. Abita a Gorle e ed era funzionario della Banca Popolare di Bergamo: «Quando ho finito di lavorare, ho cercato subito qualcosa nel volontariato - racconta -.Sono stato anche un mese in una missione in Brasile. Poi ho incontrato Giovanni Manzoni, eravamo colleghi in banca, e mi ha detto che all’Anmic che lui presiede, cercavano autisti. Gli ho detto: “mettimi in nota che io ci sono”».
In coppia sul furgone
E così Vito ha iniziato, quasi sempre in coppia con Elio Tinti, da un anno una o due volte a settimana alla guida del furgone dell’associazione. «Mi piace dare una mano, sentirmi utile: mi d un senso di pace, mi dà un grande ritorno emotivo - spiega -. La mia vita è stata costellata da dolore e lutti: sono rimasto orfano all’età di 5 anni. Conosco il senso della sofferenza, della malattia. Anche della solitudine. Credo che anche una parole, un sostegno, un aiuto, non siamo mai abbastanza. Serve umanità, serve creare rete». Anche se questi malati Vito non li conosce: «Non importa, so che i loro vissuti sono speciali: hanno storie preziose».
L’attenzione per i dettagli
Quando gli si fa notare l’attenzione al dettaglio, i modi gentili e accurati, risponde: «Facciamo quello che ci sentiamo. Io cerco di trovare sempre il meglio di me da offrire: un sorriso per alleggerire, una chiacchiera per stemperare la tensione, per sostenere nella fatica chi è provato dalla malattia personale o da quella del familiare. Ci vuole pazienza a volte, ma alla fine credo che ognuno di noi fa quello che vorremmo anche noi, se fossimo dall’altra parte».
Vito si commuove e pensa a una ragazza di 30 anni: «Sembrava una bambina, a causa del suo forte ritardo mentale.in mano ha tenuto tutto il tempo un sacchetto di plastica ridotto in bandelli. la sua mamma diceva che è la sua coperta di Linus. Il suo gesto di ninnarsi e il continuo lamento mi ha fatto soffrire, così come vedere lo sguardo impotente della madre».
«Aiutare è un dovere»
Anche Elio Tinti, 66enne di Bergamo, ricorda quel viaggio, così come tanti altri: «C’è una donna di 37 anni che spesso trasportiamo - racconta -. È una mamma con una bambina di 8 anni, ha la sclerosi multipla in uno stadio molto avanzato. Il suo dolore è il nostro dolore, così quello dei suoi genitori che la assistono». Anche Elio lavorava in banca, dirigente alla Popolare: «Poi ho conosciuto l’Anmic e ci lavoro cinque giorni su sette. Uno lo dedico a me - sorride -: vado a giocare a bocce con gli amici». Il bergamasco si dedica al trasporto, ma lavora anche negli ufficio dell’associazione dove c’è sempre bisogno di una mano: «Sono 5 anni che faccio il volontario. Perché? Credo sia insito in me dare una mano finchè posso, perchè aiutare il prossimo deve essere un dovere umano. Perchè posso dedicare il mio tempo a qualcosa di buono e che mi rende una persona migliore».
Il contatto con gli altri
Scrupoloso Elio, quasi maniacale nell’attenzione al malto: la coperta da posizionare per bene, una parola di conforto in più, «che non guasta mai. Vito ed io ci affezioniamo ai malati “abituali”, per esempio a chi soffre di Alzheimer, che ha sempre gli stesi orari di visite e incontri: viviamo i loro peggioramenti, i loro dolori». E non è faticoso portarsi addosso queste storie? «A volte - spiega -, ma il mio carattere solare e volitivo mi dà la forza e quello che faccio, ogni gesto, ogni parola, lo faccio per piacere: ho sempre amato stare a contatto con le persone. Ho vissuto quarant’anni di banca, scegliendo di restare in filiale perchè quella relazione interpersonale era la mia linfa vitale. Da pensionato non avrei mai potuto chiudermi in casa. La relazione ci rende vivi, fiduciosi dei rapporti umani».
La voce di Camillo
A organizzare tutti gli appuntamenti, a incastrare il lavoro dei volontari - una ventina che si turnano cinque giorni su sette - c’è Camillo Perico, una voce nota agli assistiti dell’Anmic. Basta chiamare in orario di ufficio lo 035/315339 e la sua voce ferma e pacata risponde: pensionato 70enne, ha in mano il calendario organizzativo e la gestione dei sette mezzi usati dai volontari. Riesce a incastrare ogni visita, ogni assistenza, da 18 anni coordinatore dell’Anmic, sempre davanti al suo file di programmazione. «Era operaio alla Magrini, dopo la pensione non ha mai perso un giorno di attività qui all’Anmic» commenta Giovanni Manzoni, presidente dell’associazione, che commenta: «I nostri volontari hanno una media di 70 anni, sono tutti pensionati volenterosi. basta la patente, spirito di sacrificio e tanta passione. magari i giovani aumentassero, ma in estate ce ne sono diversi che si fanno sentire anche solo per un mese nella pausa dallo studio. Invece per la malattia non c’è purtroppo età: trasportiamo 20enni come 90enni».
Cresce la richiesta
Con un aumento delle telefonate e delle richieste di aiuto: «Un tempo la famiglia era allargata, l’associazionismo più esteso, le reti sociali più solide. la gente ora è più sola e serve aiutare, sostenere. Colmare questi vuoti, anche con il trasporto dei malati». Che fatto col sorriso ha un effetto benefico, una buona notizia in una giornata di analisi, esami, continue terapie.
In viaggio si parla di mare
A far sorridere, in un viaggio su questi furgoni, è la suoneria del telefono di un volontario: la melodia del Sirtaki che dà una ventata di allegria, che fa pensare al sole della Grecia, ai suoi colori. Markos Iiakouras, 70 anni, è infatti originario di Corfù, e vive a Bergamo dal 1995, dopo aver lavorato come educatore in una comunità per minore a Milano. Arriva a Bergamo per amore e qui si sposa: «Dopo la pensione non potevo restare con le mani in mano. Mia moglie è iscritta all’Anmic per dei problemi di salute importanti, ma il mio percorso è stato autonomo, l’ho vissuto parallelamente al suo».
In viaggio con Markos si parla di mare, dei viaggi, della voglia di evadere, magari al caldo: «I parenti dei malati chiedono della mia terra, io offro informazioni turistiche: è un modo per evadere». Soprattutto nei suoi tragitti, due volte a settimana: «Mi occupo di malati di Alzheimer che vanno ogni giorno in comunità di cura. Ormai li conosco per nome, conosco le loro specificità, le loro fatiche». E quelle delle famiglie: ecco perchè un Sirtaki anima i cuori. E quel viaggio ha il sapore salato del mare.
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