A dicembre conguaglio fino a 218 euro per 200mila pensionati bergamaschi

DECRETO ANTICIPI . L’assegno sarà aumentato dello 0,8%, ovvero l’adeguamento all’inflazione reale, più gli arretrati. Freddi i sindacati: «Rivalutazione incompleta: non riguarda tutte le pensioni».

Un adeguamento e un conguaglio. Combinando insieme i due fattori, la pensione di dicembre sarà più pesante. E lo sarà soprattutto – in proporzione, naturalmente – per quasi 200mila bergamaschi il cui assegno mensile rimane al di sotto dell’asticella dei 2.100 euro lordi. È questa una delle novità contenute nel Decreto Anticipi varato nei giorni scorsi dal governo: il cedolino conterrà gli effetti dell’adeguamento all’inflazione «effettiva» del 2022 e porterà con sé anche il conguaglio con gli arretrati di tutto il 2023. Nel dettaglio, bisogna fare un passo indietro. Le pensioni per il 2023 sono già state adeguate all’inflazione, partendo dal dato medio del 7,3% registrato nel 2022; è stato però ricalcolato che l’inflazione del 2022 si sia attestata in realtà all’8,1%, dunque si deve provvedere a «restituire» la differenza. È quel che accadrà dalla pensione di dicembre in poi: l’assegno di base viene aumentato dello 0,8%, e saranno versati (solo a dicembre, ovviamente) anche gli arretrati, cioè lo 0,8% non goduto in ciascuno degli altri mesi del 2023 (tredicesima compresa).

Ecco cosa cambia per i pensionati

Questo meccanismo di adeguamento «pieno» all’inflazione vale però appunto fino ai 2.100 euro lordi mensili. In concreto, cosa cambia per questi quasi 200mila bergamaschi? Una pensione da 2.100 euro lordi avrà un aumento mensile di 16,8 euro, ma a dicembre sarà complessivamente più pesante di 218 euro (l’adeguamento più il conguaglio di ciascun mese del 2023); un assegno da 1.000 euro lordi avrà un aumento di 8 euro, più altri 96 euro di conguaglio. Oltre i 2.100 euro, appunto, l’adeguamento non sarà pieno, ma seguirà gli «scaglioni» della rivalutazione applicati già nel corso di quest’anno. Gli assegni «tra quattro e cinque volte» il valore della pensione minima riceveranno l’85% dello 0,8%, in sostanza aumenteranno dello 0,68%; per gli assegni «tra cinque e sei volte il minimo» l’indicizzazione è pari al 53% di quello 0,8%, e via a scendere sino al balzo proporzionalmente più tenue (per gli assegni «superiori a dieci volte il minimo», cioè dai 5.250 euro in su, la rivalutazione è pari al 32% di quello 0,8%, in termini reali un +0,256%).

Gli scaglioni per il 2024

La legge di bilancio in corso di scrittura andrà poi a determinare gli scaglioni delle rivalutazioni per il 2024 (e sarà anche da determinare, dati Istat alla mano, il tasso d’inflazione medio del 2023, appunto la base di partenza per la rivalutazione). Le ultime bozze della manovra indicano che la rivalutazione resterà al 100% dell’inflazione fino ai 2.100 euro; dai 2.100 ai 2.627 euro sarà pari 90% dell’inflazione (anziché dell’85%), poi tra i 2.627 e i 3.152 euro sarà al 53%, dai 3.152 ai 4.203 euro sarà al 47%, dai 4.203 ai 5.254 sarà al 37%, sopra i 5.254 sarà al 22%. Salvo nuove modifiche, appunto.

I sindacati e la manovra

Le pensioni restano appunto uno dei temi più caldi della legge di bilancio, non senza tensioni nella stessa maggioranza. Dai sindacati al momento il responso è freddo, a partire dalla questione della rivalutazione: «Ragionando sulle bozze – premette Giacomo Meloni, segretario generale della Fnp-Cisl Bergamo -, riteniamo che la rivalutazione delle pensioni sia ancora incompleta, perché noi chiediamo un pieno adeguamento all’inflazione per tutte le pensioni. Non abbiamo grandi aspettative, vista la situazione economica: si parla però anche di pensioni non certo d’oro, come un assegno da 2.200 euro lordi, e si tratta sempre di persone che i contributi li hanno versati in una vita di lavoro». «Continua la perdita del potere d’acquisto per chi percepisce quattro volte l’assegno minimo – ragiona Augusta Passera, segretaria generale dello Spi-Cgil -, operai e impiegati che hanno lavorato per quarant’anni. Il racconto del governo continua a sottolineare la riduzione della perequazione, dimenticando però di dire che il prelievo dalle pensioni in realtà continua: lo scorso anno è stato “tolto” il 15% della rivalutazione (per la fascia sopra i 2.100 euro, ndr), quest’anno si resta al -10%. Così questi pensionati si ritrovano a dover fare un continuo esercizio di tagli alle spese, anche in fatto di sanità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA