Il gatto Han Solo e i temibili gemelli

La storia di Han Solo, gatto cittadino alle prese con la villeggiatura e i piccoli cugini della sua proprietaria. Storia a cura di Francesca.

Han Solo porta un nome importante. Con l’iconico personaggio di Star Wars condivide un innegabile fascino, una certa simpatia che conquista tutti e uno sguardo da ribelle. La verità però è che Han Solo – o «Han Perso», come lo ribattezzò un confuso bimbo qualche anno fa – non è un tipo molto avventuroso. Da quasi 8 anni, questo micione comune europeo condivide casa con me a Milano, e ormai insieme ne abbiamo girate 3. Detesta i miei fidanzati, piange se sto più di 4 minuti sotto la doccia (il che, in questo periodo, può pure essere utile per risparmiare sulla bolletta) e ama essere al centro dell’attenzione.

Un gatto cittadino, insomma. Ogni estate e a Natale però Han, mascotte di famiglia, «va in villeggiatura» con i miei genitori in montagna: un luogo «selvaggio» rispetto al bilocale milanese, pieno di altri animali e bambini… ma in cui, negli anni, si è ritagliato la propria comfort zone. Ad esempio: quando ha capito di non voler competere con gli altri gatti per il territorio, ha optato per il tetto della casa a mansarda. Capita quindi di ritrovarlo seduto sui lucernari, anche in quello sopra il wc, dove si affaccia per rientrare in casa se la porta di ingresso è stata chiusa o è piantonata dal grande cane dei vicini, Argus, un bellissimo pastore maremmano con un impiego di tutto rispetto: curare le mucche, i cavalli, gli asini e il pollame della borgata.

Le estati di Han sono cambiate però con l’arrivo dei gemelli: i miei cugini A. e G., di 4 anni. I due hanno dimostrato da subito una certa curiosità per Han che, devo dire, ha sempre ricambiato sia quando li vedeva gattonare e si avvicinava furtivo per annusarli sia quando loro hanno imparato a correre e lui, di risposta, a nascondersi velocemente per non farsi tirare la coda.

Lo scorso agosto ho provato a insegnare ad A. e G. come leggere l’umore di Han, e dei gatti in generale, osservando coda, orecchie, occhi e pelo. Solo che nel mentre, evidentemente stanco della mia spiegazione, Han ha deciso di dare una rapida dimostrazione «schiaffeggiando» - senza artigli, ma con una certa potenza da gattone - il povero G. sulla mano, colpevole di essersi avvicinato troppo e di scatto. Si sa, con la pratica le cose si memorizzano meglio! L’episodio non ha avuto gravi conseguenze. È servito però a dimezzare il «fronte dei nemici», visto che ora G. gira alla larga e A. dosa maggiormente le attenzioni, controllando i propri movimenti.

C’è poi un fatto che lega indissolubilmente i gemelli al mio gatto: l’amore (loro) per la raccolta differenziata. Ogni giorno Han produce… ehm… rifiuti da smaltire correttamente per la gioia dei gemelli che, a turno, puliscono la sua sabbietta con grande entusiasmo. Troppo entusiasmo, calcolando l’orario mattutino in cui questa raccolta avviene, accompagnata dalle urla «oggi fassio io, domani fai tu», «No! Oggi tocca a meee!», «Scava lì lì lìììììììììììì!».

Questo siparietto mi ricorda una vignetta vista in rete qualche anno fa, in cui la dea egizia Bastet, nelle sembianze della tipica statua felina dall’aspetto altero, chiede a un gatto se gli umani siano ancora soliti venerare la loro specie. Il piccolo quadrupede risponde: «Non lo so. Ma io ogni giorno sporco e loro si inginocchiano felicemente per pulire».

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