Milano questa volta è nerazzurra. No, l’Inter non c’entra, è l’Atalanta a gioire

LA GIOIA DEI TIFOSI A SAN SIRO. Comunque andrà Parma-Juventus, l’Atalanta rimane terza e si avvicina ancora di più a quella qualificazione Champions che, per questa stagione, il Milan si può scordare.

Milano

Che buona Pasqua per quei quasi 2.400 tifosi nerazzurri nel settore ospite per una trasferta (finalmente) senza limitazioni di sorta. Più qualche altro centinaio sparso qua e là in un San Siro che presenta diversi posti vuoti in quasi tutti i settori, persino in quella curva Sud regno del tifo ultrà rossonero sul quale torneremo poi. La serata pasquale e il ponte formato XXL hanno fatto il loro effetto anche sui tifosi milanisti concentrati semmai sul ritorno della semifinale di Coppa Italia di mercoledì con l’Inter. Un derby con in palio la finale di Coppa Italia: come direbbe un certo modo di essere milanese da caricatura post Yuppies, what else?

La Pasqua dei tifosi nerazzurri

Passate le 18 il corteo dei tifosi nerazzurri lascia il parcheggio di Lampugnano e si dirige a piedi verso San Siro guardato a vista dalle forze dell’ordine: poco più di mezzora a piedi con arrivo condito da insulti incrociati con i padroni di casa. Tra il popolo rossonero parecchi turisti stranieri che hanno abbinato al weekend pasquale una puntata in uno stadio che nell’attesa di notizie sul suo futuro resta comunque iconico come pochi, un autentico monumento al gioco del calcio. Peccato solo che da qualche anno in qua la tifoseria ospite venga piazzata in piccionaia, in un terzo anello da binocolo, dove comunque il tifo nerazzurro riesce a farsi sentire, eccome.

Rispetto alle partite precedenti il cerimoniale rossonero ha un po’ sfoltito il prepartita che a tratti aveva toccato vette di kitsch inarrivabili tra fumi, raggi laser e kisscam puntate sul pubblico. La stagione poi non è di quelle esaltanti (anche se in bacheca c’è comunque una Supercoppa italiana) e pure questo ha il suo peso. Ma soprattutto i rapporti tra il mondo ultrà e la società sono probabilmente al minimo storico, come da comunicato della Curva Sud di una decina di giorni fa dove il presidente Paolo Scaroni (destinatario ieri di pesanti cori nel finale di partita) è stato definito «una nullità totale» che «da anni percepisce un cospicuo stipendio per scaldare la sedia».

Sullo sfondo un periodo storico «che vede la tifoseria organizzata suo malgrado nell’occhio del ciclone» e che l’avrebbe portata «in balia di una società totalmente priva di milanismo che punta a riempire lo stadio di clienti, facendo fuggire i veri tifosi con larghi spazi vuoti lasciati a ogni partita dagli abbonati, nonostante i proclami di finti sold-out». Insomma, un bell’ambientino, dove nella ricostruzione manca però se non l’antefatto un passaggio assai significativo, ovvero le inchieste della magistratura milanese che stanno rivelando un complesso intreccio di affari e criminalità (molto) organizzata intorno al mondo ultrà di entrambe le curve di San Siro. Tra i divieti imposti c’è stato anche quello dell’esibizione di alcuni striscioni di determinati gruppi e così per protesta la Sud rossonera ha deciso di toglierli tutti e da entrambi gli anelli dove ora sventola una bandiera, una soltanto, con l’emblema di Herbert Kilpin, inglese di Nottingham e fondatore del club nel 1899.

Anche per questo poco prima del via dalla curva di casa si alza un coro «libertà per gli ultrà», forse il solo non accolto dai fischi dei bergamaschi in trasferta: per il resto un supporto esclusivamente vocale, costante sì ma decisamente al di sotto dei livelli normali di un settore dove più che il rossonero domina il total black che da mo’ caratterizza gli ultrà del Milan. Poco prodighi di applausi anche nei confronti dei loro beniamini al momento della lettura delle formazioni, urlate dal «Milanese imbruttito», al secolo Germano Lanzoni: applausi soprattutto per Leao (ma quando viene sostituito nel finale cala il gelo), minimo sindacale per gli altri, quasi silenzio per mister Conceicao. Poi spazio a un “e la vita l’è bela”, immarcescibile capolavoro di Cochi&Renato proposta in una versione techno da denuncia, mentre sugli schermi appare un «Welcome to inferno» vagamente maccheronico e non all’altezza dei fasti del Milan che fu. Il Cavaliere, no, non avrebbe apprezzato. Nota di colore, prima del via, fa la sua comparsa in campo anche Ja’Marr Chase, wide receiver dei Cincinnati Bengals, franchigia Nfl di football americano, che lancia la sua palla ovale in mezzo al pubblico. Abbastanza indifferente, in verità.

Non che il primo tempo offra grandi occasioni per scaldarsi, il ritmo del match è da partita post pasquale, con uno sguardo all’ultima fetta di colomba. Persino Piccinini concorda visto che manda tutti negli spogliatoi con un paio di secondi d’anticipo sul cronometro. Alla prima azione della ripresa sotto la Sud Reijnders chiede con ampi gesti il supporto del pubblico amico per provare a smuovere la situazione mentre sui display pubblicitari Emirates invita a volare a Dubai. E potrebbe essere un’idea visto che nei minuti successivi i rossoneri si piazzano in pianta quasi stabile dalle parti di Carnesecchi e la curva di casa ritrova di botto la voce. Che si strozza in gola quando Ederson chiude alle spalle di Maignan un’azione da playstation giusto sotto il settore ospite che qualche decina di metri più sopra dà fuori di matto. Un colpo terribile che dà la stura a ben altro genere di cori, quelli che da qualche anno in qua invitano Urbano Cairo, presidente del Toro, a vendere, solo che questa volta il bersaglio è Gerry Cardinale, patron rossonero. O comunque del fondo che controlla la società. Poi spazio ai fischi, nemmeno tanti, che accolgono il ritorno dell’ex Cdk, mentre San Siro comincia piano piano a svuotarsi e si sente cantare solo quello spicchio lì in alto. Milano questa volta è nerazzurra. No, l’Inter non c’entra.

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