«Dopo la pandemia siamo cambiati: le relazioni e le nostre storie sono la vera ricchezza»

L’intervista. Massimiliano De Vecchi ha affrontato l’ondata Covid al Pronto Soccorso dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. La drammatica perdita del papà, il bisogno di concentrarsi sulle persone, le nuove parole da dire in uno spettacolo che proprio in questi giorni celebra la terza Giornata nazionale in memoria delle vittime del coronavirus, il 18 marzo.

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«L’esperienza del Covid ci ha cambiati. A me personalmente ha convinto che il centro del mio lavoro, come operatore sanitario, è quello di concentrarmi sulla storia delle persone e sulle relazioni che si creano». Sono trascorsi tre anni, ma i ricordi sono ancora vivi, come se fosse ieri. Era fine febbraio 2020 e per Massimiliano De Vecchi, 48 anni, residente a Grumello del Monte, responsabile della Medicina d’urgenza all’interno del centro Eas (Emergenza di alta specializzazione-pronto soccorso) dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la vita stava riservando una prova non facile.

«Il Covid è stato per me innanzitutto la morte di mio padre: in quei giorni avevo conosciuto bene il virus nella mia esperienza ospedaliera. Il 3 marzo il padre di un mio collega è stato ricoverato e io ho pensato che avrei potuto contagiare le persone care. Cosi poi è successo. Solitamente quando curiamo un paziente non pensiamo invece che quella malattia possa essere la nostra: con il Covid è stato così, tutto si è ribaltato» spiega De Vecchi.

«Ricordo la preoccupazione di medici e operatori che ritornavano a casa la sera, la paura di poter essere veicolo di infezione. Ricordo il rumore e la stanchezza dentro l’ospedale, il cielo azzurro e il sole fuori». Uno sprazzo di rinascita? «Una vacanza in Sicilia, era la fine di giugno: il sole, il mare, i sapori della cucina siciliana, la bellezza dell’arte. Il mondo fuori era in qualche modo lo stesso di prima, anche dopo tutto quel dolore e quegli stravolgimenti».

«La capacità di tutti di costruire relazioni. In un momento in cui ci sentivamo soli abbiamo capito ancora di più che il centro di ogni cura è la relazione, tra due storie»

Resta un valore fondamentale dopo tutto questo: «La capacità di tutti di costruire relazioni. In un momento in cui ci sentivamo soli abbiamo capito ancora di più che il centro di ogni cura è la relazione, tra due storie». Proprio come nello spettacolo «Giorni muti e notti bianche»: «Questo spettacolo teatrale vuole dirci che abbiamo ritrovato le parole che ci sono mancate in quei giorni».

Uno dei ricordi: «La richiesta insistente di un padre anziano che ci chiedeva di poter vedere suo figlio: è stata illuminante perché ho capito che l’aspetto più tragico di quei giorni era la separazione - conclude De Vecchi -. Tre anni dopo posso dire che quel che resta ora sono gli affetti, l’amore tra le persone incontrare, conosciute: relazioni profonde, fragili e bellissime».

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