Via Bonomelli, il supermarket della droga: i pusher la consegnano in monopattino

IL REPORTAGE. Viavai continuo di venditori e di clienti in zona stazione. Vendita anche nelle vie Bono e Gavazzeni. Tanti italiani tra gli acquirenti.

Non ci sono orari, né giorni di apertura. Il bazar è aperto in qualsiasi momento, dal mattino alla sera e fino a tarda notte. È un mercato piuttosto mobile, seppure gli spazi dello smercio nei pressi della stazione siano più o meno sempre gli stessi. Da anni. Proviamo a capire come funziona quello che fin da ragazzi abbiamo sempre chiamato il «supermarket della droga», quando il cuore pulsante degli affari era spostato di qualche decina di metri più in là, in via San Giorgio e via Quarenghi. Tra via Bonomelli, via Paglia, via Novelli e il piazzale della stazione (sottopasso compreso, divenuto un po’ il covo), s’incrociano storie, movimenti, abitudini e soggetti che agli occhi più attenti di pendolari, studenti e passanti, ormai hanno pochi segreti. Li conoscono bene anche le forze dell’ordine, che da queste parti si danno il cambio pure nei giorni di festa. Anche la loro presenza è una costante, eppure il fenomeno - più prolifico che mai anche in piena estate – sembra quasi impossibile da estirpare.

I clienti: uomini ben vestiti

L’aiuola al semaforo di via Bonomelli, all’altezza dell’incrocio con via Paglia, è il primo avamposto ed è pure quello più esposto alla vista, lungo un tratto di strada tra i più trafficati della città, e davanti ad attività commerciali i cui gestori, nel migliore dei casi, chiudono uno, a volte anche due occhi di fronte a quello che succede a un metro dall’entrata del loro negozio. Non è esagerato chiamarlo «mercato»: come alle bancarelle, anche qui sono i venditori che si fanno avanti per piazzare la loro «merce». È sufficiente rallentare un po’ il passo, guardarsi attorno con aria un po’ spaesata (soprattutto se, come nel nostro caso, i venditori non li conosciamo) e l’offerta arriva. Un’attività di routine: sono bastate poche decine di minuti di un pomeriggio qualunque per notare quelle che appaiono chiaramente come prassi consolidate. Di qui passa ogni tipologia di clientela, soprattutto uomini, quasi sempre ben vestiti, giovanotti ma anche distinti signori di mezza età. Le scuole sono chiuse, altrimenti avremmo visto, purtroppo, anche tanti ragazzini. E poi qualche disperato, anche se per loro la consegna è più di frequente a «domicilio», nei pressi della stazione delle autolinee, e un viavai quasi ininterrotto di altri individui che arrivano, scambiano «qualcosa» con chi li aspetta sul marciapiede e ripartono, per tornare di lì a qualche minuto, scommettiamo a mani vuote ma con le tasche piene.

Intercettiamo il «nostro uomo» dopo un mezzo pomeriggio di appostamento sotto il sole. Ha una canottiera nera che assomiglia alla casacca di una squadra di basket, un paio di pantaloncini che cadono oltre il ginocchio e i capelli ricci. Dev’essere magrebino e avere non più di 20-22 anni. Ci avviciniamo e, dopo un giro dell’isolato, lo incrociamo all’angolo di via Bonomelli, da dove non si è mai spostato da quando abbiamo iniziato a tenerlo d’occhio. Lasciamo passare una famiglia di turisti con bagagli al seguito, diretti alla stazione. Ce ne sono tanti in questa zona e, osservandoli, ci auguriamo che di Bergamo possano conservare immagini migliori di questa. Ci guardiamo intorno, voltiamo lo sguardo verso una vetrina ed è proprio il giovane che avevamo individuato che ci rivolge la parola. Farci abbordare non è stato difficile, anzi. «Tutto bene?», ci chiede, forse per vedere la nostra reazione. «Bene, bene». «Fumo, eroina?». «Fumo», rispondiamo, per poi osservare quale sarà il suo comportamento.

«Di cosa hai bisogno?»

Alla conversazione non eravamo così preparati e neppure alla proposta di un «menu» completo. Ma improvvisiamo. «Quanto ne vuoi?», chiede. «A quanto lo fai?». La risposta forse non gli piace. «Cosa hai bisogno?», rilancia lui. Decidiamo che forse è meglio rispondere direttamente alle sue domande: buttiamo lì «due grammi». «Venti euro». Non ha ancora finito di parlare che dal pacchetto di sigarette che tiene in mano inizia a tirare fuori qualcosa. «Troppo caro», diciamo, riprendendo a camminare. Ma ci viene dietro: «Quanto hai?». Non possiamo addentrarci nelle contrattazioni, non siamo lì per comprare davvero. «Niente, vado a prendere i soldi e torno». Li lasciamo così, lui e i «nostri» due grammi. L’affare va «in fumo» sul nascere. Proseguiamo e girando l’angolo, con la coda dell’occhio, notiamo di avere il suo sguardo, sospettoso, ancora puntato addosso.

Dal giorno alla notte

Noi finiti clienti occasionali siamo probabilmente la minoranza. L’impressione infatti è che da queste parti si conoscano un po’ tutti, spacciatori, fruitori e galoppini. Perché ci sono anche loro, quelli che consegnano le dosi sulle rampe dell’uscita di sicurezza del sottopasso ferroviario, o che riforniscono i pusher man mano che spacciano quelle poche palline che possono avere addosso senza rischiare di finire nei guai in caso di controllo. «Qui l’altro giorno uno di loro, ubriaco, si è messo a battere i pugni sulla carrozzeria dell’auto di una giovane donna ferma al semaforo», ci racconta un commerciante della zona. «Passavamo in quattro, a piedi, e abbiamo subito reagito. Ci ha raggiunto un suo amico, chiedendoci scusa, mentre altri due trascinavano l’ubriaco di peso verso l’aiuola. A loro dà fastidio quando gli animi si scaldano. Il movimento disturba i loro traffici». Di giorno, forse. Quando cala la sera – e forse anche gli affari – a ritrovarsi in questa manciata di metri sono quasi soltanto loro. E le «incomprensioni» escono allo scoperto: si comincia con una parola e una birra troppo, per finire senza troppi complimenti con una rissa a bottigliate.

Lo spaccio da smartphone

Ci spostiamo verso la stazione: dietro l’infopoint di piazzale Marconi c’è una succursale dello stesso supermarket. Qui le palline di droga vengono nascoste in un’aiuola. C’è sempre chi le tiene d’occhio e che, alla bisogna, le tira fuori. Il modus operandi è quasi sempre lo stesso: tanti clienti preferiscono non avvicinarsi al gruppo di spacciatori. Squilla il cellulare, o arriva un messaggio. Uno dei pusher, a turno, si alza, si rifornisce della dose richiesta e parte in monopattino, un mezzo gettonatissimo per le consegne espresse. L’incontro con l’acquirente può avvenire alla pensilina di un autobus, in via Bono, nel sottopasso pedonale o addirittura in via Gavazzeni. Lo scambio è così rapido che bastano pochi secondi; non c’è bisogno di lasciare in giro soldi o stupefacente. A volte il pusher non scende nemmeno dal mezzo, per allontanarsi più in fretta. Fa una certa impressione notare che, mentre i venditori sono tutti giovani stranieri, gli acquirenti sono tutti (o quasi) italiani. D’altronde l’offerta la fa la domanda, è la prima legge del mercato. Un altro buon motivo per continuare a chiamarlo così.

© RIPRODUZIONE RISERVATA