Una ferita aperta tra parole e non detto

ITALIA. La storia italiana del ’900 ha prodotto tragedie che non sono state ancora rielaborate del tutto. Ferite che periodicamente si riaprono generando polemiche.

Fra questi gravissimi traumi c’è la strage di Bologna, di matrice neofascista: il 2 agosto 1980 alle 10,25 alla stazione Centrale una bomba uccise 85 persone e ne ferì 200. È stato il più grave atto terroristico nel nostro Paese nel secondo dopoguerra. Per l’attentato sono stati condannati, con sentenze definitive, i terroristi neri Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ai tre si aggiunge Gilberto Cavallini che a settembre 2023 è stato destinatario della sentenza di ergastolo anche in Appello. Tutti e quattro sono stati membri dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) e prima di abbracciare la lotta armata hanno militato nel Fronte della gioventù e nel Movimento sociale italiano (Msi). Le pronunce dei giudici hanno detto inoltre che esecutore materiale della strage fu anche Paolo Bellini, già neofascista di Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo un mese fa dalla Corte d’assise d’appello di Bologna. I mandanti sono invece stati individuati in dirigenti dei Servizi segreti deviati e nella P2 di Licio Gelli, che secondo la Procura felsinea finanziò l’attentato.

Dal palco nel capoluogo emiliano, nel 44° anniversario dell’eccidio, ieri Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage, ha detto: «Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo». La replica di Giorgia Meloni, assente alla commemorazione, è stata netta: «Sono profondamente e personalmente colpita dagli attacchi ingiustificati e fuori misura che sono stati rivolti alla sottoscritta e al Governo». Frasi «molto gravi» per la presidente del Consiglio, che ha aggiunto: «Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale».

Fratelli d’Italia è «erede» storica del Msi in cui militarono appunto gli attentatori della stazione. Se questa è un’evidenza, è altrettanto evidente e fuori luogo attribuire una corresponsabilità dell’attuale destra di Governo con il terrorismo nero. Da militanti del partito di maggioranza la pista nera dell’eccidio, corroborata da sentenze in giudicato, è stata però più volte messa in dubbio. Nel 2020 Azione studentesca, il movimento di cui Meloni è stata responsabile nazionale, scriveva sui social: «Nessuno di noi era a Bologna», e ancora: «La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici». Da chi ricopre il ruolo istituzionale di presidente del Consiglio ci si aspetterebbero parole definitive su una vicenda così tragica.

Come quelle pronunciate, a proposito della strage, dal Capo dello Stato Sergio Mattarella in un messaggio: «La memoria non è soltanto un dovere ma è l’espressione consapevole di quella cittadinanza espressa nei valori costituzionali che la violenza terroristica voleva colpire e abbattere. A Bologna si consumò uno degli eventi più tragici della nostra storia repubblicana. Una ferita insanabile, monito permanente da consegnare alle giovani generazioni unitamente ai valori della risposta democratica della nostra Patria, che hanno consentito il riscatto e, nell’unità della nostra comunità, la salvaguardia del bene comune».

Il principale partito italiano fatica ancora a riconoscersi compiutamente nella Costituzione antifascista e paga (non in termini elettorali ma di definizione dei valori) la difficoltà a emendare presenze imbarazzanti nel suo sottobosco, documentate dalle cronache: militanti che inneggiano al fascismo, legati all’estrema destra di Casa Pound e di Forza Nuova, convegni che pretendono di riscrivere la storia in chiave nostalgica. È da questa nefasta zavorra ideologica che Meloni si deve affrancare una volta per tutte.

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