Una campagna grottesca fra Biden e Trump. Nostalgia per i veri Usa

STATI UNITI. La vera malinconia viene nel pensare a quante energie positive e a quante intelligenze sono sparse per gli Stati Uniti. Un serbatoio prezioso,invidiato, a cui il sistema politico non sa più, o non vuole, più attingere.

Alzi la mano colui che, seguendo questo avvio della campagna elettorale Usa, non ha provato almeno una volta un sentimento di totale incredulità. E non si è chiesto: davvero è così che la massima potenza economica e militare del mondo sceglie il suo Presidente? In queste settimane ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori. Donald Trump è stato condannato per una storia cominciata nel 2016, le rivelazioni della pornostar Stormy Daniels, da una giuria ansiosa di dargli una lezione, ma per ora ha schivato le imputazioni vere, quelle relative ai tentativi di modificare in modo truffaldino i risultati delle elezioni del 2020 e aver fomentato gli scontri al Campidoglio (in cui morirono cinque persone) il 6 gennaio del 2021.

Se pensiamo a Joe Biden, la situazione non pare meno grottesca. Voci e rumori sulla sua lucidità si susseguono da tempo. Poi questo signore ultraottantenne va e viene due volte dagli Usa all’Europa in due settimane, affronta un sacco di incontri con politici di ogni parte del mondo, lo chiudono per una settimana in una base militare ad allenarsi al botta e risposta, poi lo portano da Washington ad Atlanta, lo mettono sul ring con Trump e si stupiscono se ha l’aria stanca e un po’ confusa. I suoi compagni di partito, allora, cominciano a dire che forse dovrebbe ritirarsi, però aggiungono che tutto dipende da sua moglie Jill. Alla quale, a questo punto, andrebbe forse affidata anche la valigetta nucleare.

E poi c’è il sistema giudiziario. Il procuratore newyorchese Barr, noto per le sue posizioni liberal, per il caso Stormy Daniels aveva cercato a tutti i costi la condanna penale per Trump, anche se quel reato fiscale nella gran parte dei casi, negli Usa, viene chiuso con una sanzione amministrativa. Ora la Corte Suprema, dove sei giudici su nove sono di orientamento conservatore, concede a Trump l’immunità parziale, sentenziando che gli ex presidenti possono essere protetti dalle accuse penali per gli atti ufficiali. Prima conseguenza: il processo per le accuse relative all’attacco al Campidoglio slitta a dopo le elezioni. Una grossa grana in meno per Trump che tra l’altro, se riuscisse a farsi rieleggere, potrebbe poi concedersi il perdono presidenziale.

Raccontato così sembra tutto grottesco, e in effetti lo è. Ovviamente non sono né Trump né Biden coloro che hanno governato o governeranno gli Stati Uniti d’America. Ci pensa quello che a volte viene chiamato «Stato profondo», l’apparato che, nei gangli vitali dell’amministrazione, sopravvive a qualunque presidenza. Il brutto della bega Biden-Trump sta in altri aspetti. Trasmette l’immagine di una superpotenza incerta e sbandata, costretta a scegliere tra due persone anziane che non sembrano molto affidabili.

E diciamo costretta perché è palese che c’è un problema nei partiti americani. I Repubblicani sono stati colonizzati da Trump e dal suo estemporaneo radicalismo, che parla alla pancia del Paese. I democratici sono dominati dai clan Obama e Clinton che, con il loro conservatorismo interno, si sono fatti scoppiare la bomba Biden in faccia.

La vera malinconia, a chi come noi guarda da fuori, viene nel pensare a quante energie positive e a quante intelligenze devono essere sparse per gli Stati Uniti, il Paese dell’innovazione tecnologica, delle grandi università, dei centri di ricerca all’avanguardia nel pensiero politico, economico e tecnologico. Un serbatoio prezioso, invidiato dal mondo intero, ma a cui il sistema politico non sa più, o non vuole, più attingere.

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