Trump-Musk: un problema per la nostra democrazia

MONDO. Elon Musk, sudafricano di nascita, non potrà mai aspirare alla presidenza degli Stati Uniti. La Costituzione, si sa, non lascia margini a chi non è nato su suolo americano, e poco conta che Musk abbia acquisito la cittadinanza solo nel 2022.

Ma il nostro miliardario non è tipo da farsi scoraggiare da simili dettagli. Così, in mancanza di meglio, ha deciso di appoggiare uno dei due contendenti alla Casa Bianca, e non certo per ideali o valori – se di valori si può parlare nel suo caso. Ha scelto Donald Trump, e non per affinità elettive, ma per puro interesse. E che interesse. Ieri ha fatto rumore la sua intervista a «The Donald». Più che un’intervista, una conversazione piatta, una passerella di più di due ore, inclusi 40 minuti di blackout che Musk, padrone di X (ex Twitter), non ha mancato di interpretare come un attacco informatico. Invece di un confronto vero, ci siamo trovati di fronte a una sfilata di complimenti e smancerie insopportabili, lontane anni luce da quello che dovrebbe essere un dialogo serio. E sugli ascolti, è dibattito aperto: 16,4 milioni di spettatori americani, 84 milioni di visualizzazioni sul post, e un centinaio di migliaia di «retweet». Musk, però, rassicura: il duetto farà il botto nei prossimi giorni.

Bisogna ricordare che non molto tempo fa i due si scambiavano colpi bassi senza esclusioni. Ma, si sa, in politica e negli affari si cambia idea con la stessa facilità con cui si cambia la cravatta. E oggi, per Trump, che si trova in difficoltà a causa della candidatura di Kamala Harris, passata in testa, seppure di poco, nei sondaggi, Musk è una manna caduta dal cielo. Un alleato prezioso. Tanto più che X, dopo averlo bandito in seguito all’assalto al Congresso del gennaio 2022, lo ha riammesso nel club. E non mancano tra loro affinità, seppur di quel liberismo spregiudicato e selvaggio che piace tanto ai due. «Sei il più grande tagliatore – ha detto Trump a Musk – non faccio nomi (ma tutti sappiamo che si riferiva a Twitter) ma quando sono entrati in sciopero, tu hai detto: “Va bene, fuori tutti”». E Musk, nel 2022, per celebrare la sua nuova cittadinanza americana, ha cacciato 6mila dipendenti dalla sua azienda.

E i vantaggi per Musk? Sono evidenti: Trump gli permetterebbe di proseguire nei suoi affari senza restrizioni, come invece fece Biden imponendo un regime fiscale più stringente per le big tech. Da decenni viviamo in un’epoca in cui i colossi digitali prosperano senza legge, grazie a una conformazione giuridica «immateriale» e dunque sovranazionale. Solo di recente qualcosa si è mosso, grazie a una legge dell’Unione Europea che mira a tassare i pirati del digitale. Ma il clima da Far West che ancora ci circonda è l’ideale per chi accumula fortune colossali senza dover rispondere a nessuno, né in termini fiscali né di responsabilità sociale. Fra Trump e Musk, il vero padrone è Musk, che continuerebbe a prosperare indisturbato. E questo è un problema serio per la democrazia e per l’uguaglianza sociale, oggi come domani.

Se Musk metterà a disposizione le sue aziende, Trump ne ricaverà un vantaggio enorme, non solo in termini di comunicazione politica, ma anche di raccolta dati, vitale per il marketing politico moderno. Conoscere chi accede alla rete permette di inviare messaggi di propaganda cuciti su misura. Ed ecco spiegato il motivo per cui Elon Musk, a capo di un impero che spazia dalle aziende aerospaziali alle neurotecnologie, dall’intelligenza artificiale alle auto elettriche, dai social network ai trasporti super veloci, con un patrimonio stimato in 205,2 miliardi di dollari a febbraio 2024, donerà 45 milioni di dollari al mese al comitato America Pac, creato per sostenere la campagna presidenziale di Trump.

Ma Musk non è l’unico. Anche altri, legati al miliardario sudafricano naturalizzato americano, hanno deciso di sostenere Trump: l’investitore tecnologico Joe Lonsdale, Antonio Gracias (ex direttore di Tesla e attuale membro del consiglio di SpaceX), l’investitore Kenneth Howery e i partner di Sequoia Capital, Shaun Maguire e Doug Leone (quest’ultimo aveva condannato Trump dopo i fatti del 6 gennaio, ma, si sa, davanti ai quattrini si può sempre cambiare idea). E poi ci sono i gemelli Winklevoss, ex canottieri, resi celebri dal film The Social Network di David Fincher, i veri inventori del social network che Zuckeberg poi sviluppò, chiamò Facebook e fece grande, oltre a Marc Andreessen, uno dei guru della Silicon Valley, ideologo di un tecno-ottimismo radicale che, tra investimenti e speculazioni miliardarie, continua a plasmare il mondo dell’innovazione senza troppi scrupoli per i diritti dei lavoratori e per il welfare.

Definire inquietante l’alleanza tra Musk e Trump è un eufemismo. Ma l’America è la patria del liberismo, un liberismo che ha trasferito immense risorse nelle mani di pochi tycoon del digitale. E in questo quadro, Musk e Trump sembrano fatti l’uno per l’altro.

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