L a seconda giornata di Europa League ha proposto lo scontro tra le due principali candidate alla vittoria del girone D. All’Estadio Alvalade si sono trovate di fronte lo Sporting Lisbona di Ruben Amorim, capolista della Primeira Liga portoghese, e l’Atalanta di Gasperini. Una partita che sulla carta si presentava come particolarmente ostica per i nerazzurri visto il valore dell’avversaria, che esattamente come l’Atalanta figurava (e figura) nel novero delle possibili pretendenti alla vittoria finale: i nerazzurri quale quinta forza dell’Europa League con 1773 punti elo (il ranking più affidabile a livello europeo per confrontare il valore di squadre che giocano in campionati diversi), e lo Sporting quale sesta, con 1765 punti. C’era inoltre di mezzo il primato, seppur momentaneo del girone, che se mantenuto sino al termine non avrà solo un valore simbolico ed economico, ma consentirà al club che arriverà primo di non disputare l’insidioso spareggio playoff di febbraio, dove le seconde dei gironi di Europa League affronteranno le terze dei gironi di Champions League. L’Atalanta di Gasperini è riuscita ad andare oltre l’obiettivo minimo del pareggio, che prima della gara poteva essere un risultato salutato con favore dai nerazzurri, imponendosi per 2-1 in una gara dai due volti. Di dominio assoluto nei primi 45 minuti, e più faticosa nella fase centrale della ripresa. L’Atalanta ha rischiato di sprecare il doppio vantaggio acquisito nella prima frazione di gioco nell’arco di 6 minuti (dal 72° al 78° minuto), per via di un eccesso di fiducia nella propria fase di non possesso, fatta di poca pressione e tanta difesa posizionale. I nerazzurri si sono messi a controllare la gara rinunciando quasi completamente a ripartire e ridando così fiducia agli uomini di Amorim. Ma entriamo ora nel vivo dell’analisi cominciando da come si presentava la sfida tra Sporting e Atalanta prima del fischio d’inizio dell’arbitro spagnolo Hernandez.