L’ Atalanta partita alla volta di Lisbona nella serata di martedì, non solo aveva come obiettivo quello di fare un risultato positivo, in uno dei momenti sfavorevoli della sua stagione, ma soprattutto quello di trovare nella sfida contro lo Sporting delle risposte. Prima dell’importante ottavo di finale di Europa League, i nerazzurri erano usciti malconci dal trittico di partite che li aveva visti opposti a Milan, Inter e Bologna. Tre partite giocate nell’arco di sette giorni che avevano fatto registrare numeri in brusco regresso: un solo punto fatto; due gol segnati, sei subiti; ma soprattutto una serie di prestazioni da parte di chi dovrebbe garantire il salto di qualità ai nerazzurri, tornate ad essere altalenanti. A queste situazioni già preoccupanti di loro, si aggiungevano poi le sensazioni, o meglio percezioni, che tutti noi abbiamo avuto osservando i nerazzurri dagli spalti: una condizione atletica lontana dalle performance migliori di stagione, avvertita in tutte e tre le gare, con l’Atalanta che si era “spenta” troppo presto, o peggio ancora, nei momenti decisivi. Anche a livello mentale i ragazzi di Gasperini erano sembrati scarichi o poco lucidi. Contro l’Inter, l’Atalanta si era arresa dopo 45 minuti, e contro il Bologna nella ripresa era parsa senza mordente. Gli occhi iniettati di sangue dei tempi migliori avevano lasciato spazio a sguardi spenti e rassegnati. Bisognava infine capire, quanto l’Atalanta volesse puntare sull’Europa League, un traguardo spesso ambito a livello di qualificazione da parte dei club italiani, ma poi snobbato nei momenti decisivi. Quando le stagioni entrano nel vivo si devono compiere delle scelte, e quindi si punta su quello che “sembra” più alla portata, sacrificando spesso la competizione in cui il traguardo pare più lontano. Insomma, tante domande alle quali l’Atalanta come vedremo, ha cercato di trovare una risposta attraverso quanto fatto sul campo.