Senzatetto, cresce la richiesta di aiuto ai due dormitori di Treviglio

L’EMERGENZA. Il fondatore del Germoglio in visita alla Vigilia: «Uno di loro, a 60 anni, è riuscito a trovare un lavoro». La Caritas: «Nel ’23 ben 976 persone si sono rivolte a noi».

Il Natale ha portato in dono a Mario (il nome è di fantasia) un lavoro a tempo indeterminato. Sessant’anni, è uno degli ospiti della Locanda del Samaritano, dormitorio con due sedi a Treviglio e che accoglie fino a 16 persone. «Ce lo ha comunicato qualche giorno fa e ne era molto contento, dopo tanti contratti a termine», racconta Patrizia Scotti, presidente del Germoglio, l’associazione di carità che gestisce le strutture. L’accoglienza e l’aiuto a chi non ha un tetto dove vivere sono temi cari ai trevigliesi. Basti pensare che i volontari del C entro d’ascolto della Caritas hanno registrato un aumento dei bisogni e delle richieste. In tre anni, le persone incontrate sono salite da 594 a 976, con 332 nuclei familiari che hanno richiesto aiuto nel 2023 (erano 306 nel 2021). Il 31,4% dei nuclei familiari riceve la borsa alimentare da oltre 6 anni: segno della difficoltà a uscire da una situazione di povertà cronica. «Il Natale, per chi non ha una casa, è un periodo agrodolce, fatto di nostalgie», spiega Alvaro Cappellini, fondatore del Germoglio e oggi volontario. Soprattutto perché, a chi non ha un tetto sotto cui vivere, mancano spesso anche i legami familiari.

A Treviglio i dormitori sono a misura d’uomo

I dormitori trevigliesi, a differenza di quelli di città più grandi come Milano e Bergamo, «riescono a garantire una dimensione più a misura d’uomo e, quasi, familiare», assicura Cappellini. Ha incontrato gli ospiti la sera del 24 per fare loro gli auguri «e come sempre ho trovato tanta voglia di dialogare: il Natale per loro diventa soprattutto il ricordo di quelli passati in famiglia, il piacere nostalgico di raccontare la propria vita quando era più regolare». Le persone senza fissa dimora, dice Cappellini, «sono in media metà italiani e metà stranieri, quasi tutti maschi». Sono affiancati da un operatore stipendiato e da una rete di 30 volontari che si occupano di pulizie, spesa, amministrazione, oltre a offrire ascolto e vicinanza umana agli ospiti. Nei dormitori trevigliesi si può rimanere un mese, con possibilità di prolungamento in inverno, quando il freddo rappresenta un pericolo maggiore per chi vive in strada.

Quanto a Mario, ora che ha uno stipendio, vorrebbe sistemarsi. «Mi ha detto: “A 60 anni non ce la faccio più a fare questa vita, voglio avere una mia casa”», riferisce la presidente Scotti. Per iniziare, ha chiesto all’associazione di aiutarlo a gestire le entrate: «Ci darà una quota dello stipendio e gliela terremo da parte, così non avrà la tentazione di spenderla», precisa Scotti. Perché le dipendenze sviluppate nel corso della vita sono difficili da sconfiggere e il rischio di ricadere è sempre in agguato. Per trovare casa, però, un reddito può non essere sufficiente. «Nella zona del trevigliese non mancano le case vuote – precisa Scotti –, ma la nostra esperienza ci dice che molti proprietari sono restii ad affittare a stranieri o a persone che escono da situazioni di marginalità». Una situazione «che persiste da tempo. Ricordo il caso di un ragazzo di colore che alloggiava nel dormitorio: aveva un lavoro a tempo indeterminato alla Same, un buono stipendio e aveva persino messo da parte i soldi per la cauzione e l’anticipo». Il Germoglio si è posto come mediatore per aiutarlo a trovare un alloggio: «È stata un’impresa: ci abbiamo messo più di un anno e mezzo».

Una decina di persone in stazione

Il tema della casa è stato sollevato anche in consiglio comunale lo scorso 17 dicembre. Il sindaco Juri Imeri ha riferito con preoccupazione che più del 50% degli alloggi comunali che saranno a disposizione di chi ne ha bisogno nei 18 comuni dell’Ambito di Treviglio si trovano in città. «Senza una norma regionale o nazionale, è sempre più raro che comuni che hanno pochissimi alloggi o non ne hanno neppure uno, decidano di investire in questo settore». Ma la prima risposta, secondo il sindaco, «è quella organica: garantire lavoro e redditi adeguati, e in questo il territorio, per fortuna, riesce a dare buone risposte». Chi non trova spazio nei dormitori comunali e non ha casa, finisce spesso in stazione. In questi giorni accade a una decina di persone, apparentemente tra i 25 e i 60 anni. Due di loro lavorano. Dormono nel sottopassaggio con i sacchi a pelo da quando, circa un anno fa, le ferrovie hanno deciso di chiudere le sale d’attesa di notte. Diversi gruppi di volontari si alternano per portare sostegno e vicinanza. Tra loro gli scout, i ragazzi della pastorale giovanile degli oratori e i volontari della Caritas che, alternandosi, cercano di garantire una presenza costante.

«Durante il periodo delle feste la solitudine e la fragilità possono farsi sentire in modo più acuto»

«Si cerca di offrire supporto pratico e umano – spiegano – specialmente in un periodo dell’anno come questo, caratterizzato dalle festività natalizie, quando la solitudine e la fragilità possono farsi sentire in modo più acuto». I volontari si avvicinano a queste persone mentre si preparano per la notte con i loro cartoni, giubbotti per sfidare il freddo e il vento che attraversa il sottopassaggio». Portano con sé tè caldo, sacchi a pelo, coperte termiche e cibo e uno sguardo che riconosce la persona non come un «invisibile», ma come un essere umano.

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