Schegge di una bomba nella testa: il 12enne palestinese sarà operato

ALL’OSPEDALE DI BERGAMO. Il piccolo è ora ricoverato nel reparto pediatrico. Dramma nella missione umanitaria: morto un neonato diretto a Milano.

La prima notte all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è passata. Dopo le bombe che ha visto e sentito cadere sulla sua terra d’origine, per il ragazzino palestinese di 12 anni il rumore dei monitor nella stanza nel reparto pediatrico in cui è ricoverato e e il via vai del personale medico, saranno sembrati una ninnananna. Il ragazzino è arrivato nella notte tra l’8 e il 9 agosto con un’ambulanza dell’Areu, che lo ha portato in città dall’aeroporto di Bologna, nell’ambito dell’operazione di evacuazione medica dalla Palestina, gestita dal Dipartimento della Protezione civile, che oltre a lui ha portato in Italia altri 15 giovanissimi pazienti provenienti dalla Striscia di Gaza: ad accompagnare il dodicenne, ci sono la mamma, la sorella e il fratello.

Il ragazzino è arrivato nella notte tra l’8 e il 9 agosto con un’ambulanza dell’Areu, che lo ha portato in città dall’aeroporto di Bologna

Grave ferite causate da una bomba

I medici del «Papa Giovanni» hanno fatto le prime valutazioni sulle sue condizioni fisiche: il dodicenne diverso tempo fa è rimasto gravemente ferito da una bomba, ed ha alcune schegge conficcate nella testa; è già stato sottoposto a un intervento in Egitto ma è necessario un ulteriore intervento neurochirurgico. E l’ospedale di Bergamo è stato scelto per accoglierlo proprio per l’elevata competenza in campo pediatrico. Al suo arrivo, nella notte, il piccolo ha trovato medici e infermieri ad accoglierlo, la mamma e i fratelli sono rimasti in stanza con lui per aiutarlo ad acclimatarsi; per l’alloggio dei suoi familiari la Prefettura ha individuato una struttura apposita che accoglie i parenti dei pazienti ricoverati al «Papa Giovanni».

Volontari e mediatori culturali in azione

Venerdì 9 agosto, nel suo primo giorno in ospedale, ha già ricevuto la visita dei volontari della struttura sanitaria che hanno giocato con lui, nonostante le difficoltà della barriera linguistica. I genitori, infatti, parlano solo arabo e, nonostante l’aiuto da parte dei mediatori culturali, già attivati dall’ospedale, e di app dedicate alla traduzione simultanea, comprendere le parole del ragazzino e della sua famiglia non è facile. Ma il «grazie» negli occhi della mamma, nelle sue mani giunte e nei suoi piccoli inchini, non è difficile da cogliere. E parlare la stessa lingua, all’improvviso, non sembra più importante. Contano i gesti. E l’essere presente, per aiutare, come si può, quanto si può. Ed è questo che stanno facendo le associazioni di volontariato presenti che, come per tutti i bambini ricoverati nella struttura, offrono la loro assistenza e aiuto nel garantire al dodicenne delle giornate il più possibili normali, facendolo giocare e facendogli compagnia.

Sui tempi e modalità del delicato intervento neurochirurgico l’ospedale non fa trapelare nulla: la parola d’ordine, in queste ore, è garantire la più assoluta serenità e privacy al piccolo e ai suoi familiari

Riserbo sull’intervento chirurgico

Sui tempi e modalità del delicato intervento neurochirurgico l’ospedale non fa trapelare nulla: la parola d’ordine, in queste ore, è garantire la più assoluta serenità e privacy al piccolo e ai suoi familiari: hanno bisogno di sentirsi al sicuro, dopo l’operazione che li ha portati in Italia, denominata MedEvac (Medical Evacuation), realizzata nell’ambito del meccanismo europeo di Protezione civile e coordinata dal Dipartimento della Protezione civile, con i ministeri degli Esteri, dell’Interno, della Salute e della Difesa, il sostegno dell’ambasciata d’Italia a Il Cairo e del Ministero della Salute egiziano.

15 giovani feriti

Con il dodicenne, a bordo dei voli partiti dall’Egitto e atterrati a Bologna, c’erano altri 15 giovanissimi palestinesi bisognosi di cure; purtroppo per uno di loro, 6 mesi appena di vita, il viaggio di speranza si è spezzato: dopo l’arrivo all’aeroporto di Bologna, caricato in ambulanza per raggiungere l’ospedale Niguarda di Milano dove avrebbe dovuto essere curato, è spirato. Le sue condizioni erano apparse subito molto critiche, il piccolo era molto debilitato: l’ambulanza era all’altezza di Parma quando il suo cuore si è fermato.

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