«Scampato alla saetta che uccise 23 vacche, ma sono sempre qui tra gli alpeggi»

LA STORIA. Sono passati 38 anni da quando il malgaro Angelo Beccarelli il 18 agosto 1986 rischiò la vita.

Per Angelo Beccarelli, malgaro di Rovetta classe 1956, il 18 agosto non potrà mai essere un giorno come gli altri. Da quel lontano 1986 sono ormai passati 38 anni ma il ricordo di quel fulmine che cadde all’improvviso uccidendo sul colpo 23 delle sue vacche gli rimarrà per sempre impresso nella memoria. Anche oggi, come in quella circostanza e malgrado l’esperienza vissuta, si trova all’alpeggio di Sasna sopra Lizzola e spunta da un piccolo crinale dove si riesce ad avere un minimo di segnale telefonico.

«Verso le 14 una nuvola “grande come un fazzoletto” – racconta Angelo Beccarelli mimandone con le mani le esigue dimensioni – nascose il sole e poco dopo iniziò a cadere qualche goccia. Io ero seduto sul mio sgabello in legno e aprii l’ombrello».

«Quella mattina – dice – ero con due delle mie sorelle proprio in questa baita; la notte aveva piovuto molto ma all’alba il cielo era azzurrissimo. Io e Roberta decidemmo di partire con la mandria in direzione del lago di Bondione, mentre Raffaella rimase qui a fare il formaggio. Poco prima dell’ora di pranzo ci raggiunse Lina, una cara amica che ci aveva dato in consegna alcune delle sue vacche. Verso le 14 una nuvola «grande come un fazzoletto» – dice mimandone con le mani le esigue dimensioni – nascose il sole e poco dopo iniziò a cadere qualche goccia. Io ero seduto sul mio sgabello in legno e aprii l’ombrello». Beccarelli prende fiato per un attimo prima di continuare il racconto di quella tragica giornata.

«All’improvviso udii un enorme boato e il guaito del cane che era accucciato ai miei piedi; mi ritrovai scaraventato a una decina di metri, poco distante da un dirupo. Non capendo cosa fosse successo mi guardai intorno e vidi molti animali distesi per terra. Una vacca ancora in piedi barcollava pericolosamente a pochi metri da Lina. Le urlai di spostarsi, ma quando capii che era incosciente feci uno scatto e, afferrandola per la coda, riuscii a farla cadere dalla parte opposta evitando che le cadesse addosso schiacciandola con il suo peso». «Con lo sguardo cercai poi Roberta – continua –. La vidi che si muoveva nel prato e non posso dimenticare il colore nero delle sue gambe, probabilmente perché era seduta su un secchiello di latta che fece da conduttore alla scarica elettrica».

Il salvataggio in elicottero

«Quando anche Lina si riprese cercammo di riordinare le idee ma non fu semplice, soprattutto dopo aver osservato le bacchette tutte attorcigliate del mio ombrello - racconta ancora -. Le dissi di scendere immediatamente in paese ad avvisare di quanto accaduto, mentre io e mia sorella iniziammo ad abbassarci di quota con il resto della mandria in una zona che reputavamo più sicura. Dopo un paio di ore arrivò un elicottero e attirai l’attenzione del pilota agitando le braccia. Appena riuscì ad atterrare mi fece salire a bordo e sorvolammo la zona dell’incidente; ricordo che, oltre agli animali senza vita, nel pascolo si poteva distinguere un profondo solco quasi circolare scavato dal fulmine lungo decine di metri».

«Appena riuscì ad atterrare mi fece salire a bordo e sorvolammo la zona dell’incidente; ricordo che, oltre agli animali senza vita, nel pascolo si poteva distinguere un profondo solco quasi circolare scavato dal fulmine lungo decine di metri».

Nei ricordi di Beccarelli trova infine spazio anche una punta d’ironia legata alla burocrazia: «L’assicurazione – conclude ridendo – nei giorni seguenti mi chiese se avessi scattato delle foto in loco e io risposi che il mio compito era di accudire le vacche e non quello di fare il fotografo».

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