Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Mercoledì 31 Gennaio 2024
Nelle sfide della modernità una nuova frontiera per l’umanesimo
L’INCONTRO. Il filosofo Mauro Ceruti, il 2 febbraio nella chiesa di Longuelo, riflette sulla complessità dei nostri tempi e sulla necessità di ritrovare la strada una «comunità di destino» per l’umanità.
La modernità con il conto salato delle sue crisi – tecno-scientifiche, politico-economiche, eco-sanitarie – ha modificato in modo radicale l’«immagine dell’umano» (Hans Jonas) mentre il neotecno-antropocentrismo «divinizzato» e «manipolatorio» sta mettendo a rischio il futuro stesso della comunità umana. Pensare il «cambiamento d’epoca», come invita Papa Francesco, è proprio il compito dell’essere-uomo. La modernità si è fatta poliedrica e complessa, ha bisogno di un pensiero all’altezza della posta in gioco: ci vuole un’epistemologia della complessità. Edgar Morin, filosofo centenario e indiscusso maestro della complessità, riconosce Mauro Ceruti, come suo «spirito fratello», «fra i rari pensatori del nostro tempo ad aver compreso e raccolto la sfida che ci è posta dalla complessità dei nostri esseri e del nostro mondo globalizzato» perché egli «mostra che il problema essenziale, quello di comprendere il nostro tempo, è un problema matrioska che contiene in sé altri problemi, ciascuno dei quali contiene a sua volta altri problemi».
Vie di riconciliazione
L’approccio di Ceruti alla complessità moderna dove tutto è connesso non ha mai avuto un carattere apocalittico: la complessità va criticamente assunta anche nelle sue ambiguità, e nello stesso tempo va abitata e compresa (presa-con-sé). Si tratta innanzitutto di capire e non di sentenziare. La modernità nella riflessione di Ceruti non è mai semplicisticamente un fastidio da bypassare o sopportare, semmai è una condizione da leggere e interpretare, senza facili irenismi e ingenuità. Occorre fare pace con questo mondo, come ci dirà nell’incontro del 2 febbraio nella chiesa di Longuelo (ore 20.30), trovare vie di riconciliazione anche se le derive socio-culturali sono sotto gli occhi di tutti. E bisogna chiamarle per nome.
Approccio interdisciplinare
Ceruti è per antonomasia «filosofo della complessità», il suo contributo alla ricerca universitaria e alla città negli anni dell’insegnamento bergamasco è assodato. Il pensiero della complessità, in grado di apparecchiare un approccio sistemico e interdisciplinare ai fenomeni, di affrontare la «policrisi» oggi endemica, di guardare sinteticamente la trama e l’ordito dei singoli interrogativi culturali, non è una comoda etichetta. È un metodo di indagine, un approccio rigoroso e perfino uno stile intellettuale. «Complesso significa che tante cose sono intrecciate insieme, a formare un’unità. Dal verbo latino plectere, intrecciare, più cum, insieme» scrive Ceruti sull’ultimo numero della rivista «Vita e Pensiero». Proprio l’opposto di ogni tentativo di semplificazione manichea, frutto di una certa tendenza culturale che non riesce a simpatizzare con la «fatica del pensiero» che infatti non deve dare risposte meccanicistiche e sommarie – impossibili, per altro – ma istruire correttamente le questioni.
Umanesimo planetario
Da alcuni mesi è tornato in libreria con un nuovo illuminante saggio, scritto con Francesco Bellusci, che già nel titolo si annuncia come un’inderogabile responsabilità: «Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro» (RaffaelloCortina). Il contributo di Ceruti si dispone quasi come agile summa della sua pluriennale riflessione epistemologica offrendosi come mappa per orientare la navigazione sul mare agitato della contemporaneità. Il cuore della sua ricerca è la proposta di un «nuovo umanesimo planetario», sulla scorta della profetica intuizione di pensatori come Ernesto Balducci, in grado di arginare adeguatamente lo strapotere algoritmico della tecnocrazia che sta impalcando sulla scena del mondo (e sul mercato delle prestazioni performative, le uniche oggi a dettare legge) la sfidante figura del post o transumanesimo o dell’uomo aumentato (robotica, Intelligenza Artificiale, promessa di immortalità), stigmatizzato da qualcuno come «umanesimo senza ritegno».
Libertà e fraternità
Grazie a Ceruti, e a Morin, da anni abbiamo familiarizzato con l’idea che l’insieme dei popoli e delle nazioni, l’intera umanità è da considerare come una «comunità di destino», il mondo è un’unica «Terra-Patria»: siamo tutti connessi – i popoli tra di loro e l’uomo con la Terra senza trascurare gli ultimi («ecologia integrale»). Siamo tutti «sulla stessa barca», per citare un altro prezioso saggio di Ceruti a commento dell’enciclica francescana «Laudato si’». «Nessuno di salva da solo»: non abbiamo una reale alternativa alla fraternità che «nel XXI secolo potrà essere la protagonista, dopo che la libertà e l’uguaglianza lo sono state nei secoli del XIX e XX». Nell’intenzione di Francesco, ma anche di Ceruti (e Morin), è proprio la fraternità a proporsi come nuovo (antichissimo) mito ispiratore capace di accordare la biodiversità dei pensieri e armonizzare i saperi. Abbiamo l’obbligo (morale) di costruire una «comunità mondiale» e condividere una medesima etica universale. È una questione di cultura (della complessità), non di procedure funzionali. E per realizzare l’impresa occorrerà, come minimo, ridare fiato al sistema dei saperi e incoraggiare la politica europea della nostra casa comune. Soltanto l’assunzione responsabile del compito di umanizzare la modernità (con folle ragionevolezza?) ci suggerirà forme inedite di quella pacificazione di cui non possiamo fare a meno. L’adagio di Balducci è un appello: «L’uomo del futuro sarà uomo di pace, o non sarà».
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