Mobilità, meno slogan e più visioni di sistema

IL COMMENTO. Da sempre il tema delle mobilità, in tutte le sue forme, è roba da guelfi contro ghibellini. Da una parte (anche politicamente parlando) i fautori della mobilità privata a prescindere, dall’altra chi invece sostiene a spada tratta quella pubblica, come abbiamo avuto occasione di (ri)vedere recentemente nella corsa al Comune di Bergamo.

Nulla di nuovo, è almeno un quarto di secolo che, al di là delle ottime teorie dei vari piani (più o meno) strategici, ci si muove prevalentemente a strappi e ideologicamente. Anche perché la materia è di quelle decisamente scivolose e porta con sé un retaggio di relazioni difficile da gestire senza scossoni. Per capirci, un parcheggio in più o in meno ha il suo peso sia in termini sociali che di consenso elettorale.

La mobilità però prima ancora che scienza è pura necessità e così alla fine le soluzioni si trovano comunque, quasi spontaneamente: lo conferma per esempio il boom di motocicli registrato nel capoluogo (e non solo) negli ultimi 20 anni, con tassi di crescita superiori al 45%. Per farla breve, se con l’auto è impossibile evitare le code e spesso pure trovare parcheggio, con le due ruote si ovvia ad entrambi i problemi. A maggior ragione in un capoluogo stretto quotidianamente nella morsa di quasi 60mila auto in ingresso, la stragrande maggioranza (per non dire la quasi totalità...) con una sola persona a bordo.

Una situazione che da un lato trova parziale rimedio con il sempre più massiccio utilizzo delle moto ma dall’altro non riesce a trovare adeguate risposte dal sistema di trasporto pubblico su gomma che, molto semplicemente, si ritrova bloccato (pure lui) nel traffico quotidiano.

Normale che in questo contesto si guardi con un certo interesse agli interventi in corso sul versante del ferro: dalla linea T2 del tram per Villa d’Almè al raddoppio fino a Curno che permetterà un utilizzo di tipo metropolitano, cosa ben diversa da una metropolitana dove le fermate distano meno di un chilometro tra loro. Il termine giusto di paragone per un servizio del genere sono le S-Bahn tedesche che fermano ogni 2,5-3 chilometri, distanza in linea con quelle del raddoppio direzione Ponte. Nell’attesa di buone nuove sul versante di Seriate-Montello e di una proposta più appetibile in termini di sistema sulla Bergamo-Treviglio.

Ecco, sistema è la parola-chiave, spesso evocata a sproposito e purtroppo poco applicata in concreto, al di là di stucchevoli e ritriti slogan. In tal senso fa però ben sperare il bando di Regione Lombardia che stanzia 41 milioni di euro per trasformare le stazioni in poli intermodali e anche il fatto che Treviglio, Verdellino e Ponte San Pietro si siano già dette interessate ad essere della partita.

Vero che a Bergamo al posto dell’attuale stazione verrà realizzata una struttura che permetterà un rapido scambio tra diverse modalità di trasporto, prevalentemente pubblico ma consentendo anche l’attestamento dei mezzi privati, ma lo è pure il fatto che per alleggerire la pressione sul capoluogo bisogna lavorare anche al suo esterno, su quei nodi dove insiste un numero importante di pendolari. Che devono appunto poter contare su un sistema che consenta di loro di arrivare con i vari mezzi a disposizione nelle stazioni, su connessioni rapide e sicure e poi muoversi di conseguenza.

Non è fantascienza, un libro dei sogni e nemmeno un mero esercizio teorico, perché è realtà in praticamente tutta Europa e mai come in questo caso non c’è nulla di male nel copiare le cose che gli altri sanno fare meglio. E da sempre.

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