Meno sbarchi, ma in mare continua la strage

MONDO. Il numero delle vittime coincide con quello di una guerra di media intensità. Nel 2023 nel Mediterraneo hanno perso la vita 3.129 migranti: si tratta dei decessi accertati perché molti altri avvengono nell’oblio.

Il dato chiama in causa diversi livelli di responsabilità ma solleva innanzitutto un problema di coscienza e di principi, quelli sui quali è nata l’idea di Europa unita dopo il secondo conflitto mondiale, fra i quali appunto la salvaguardia della vita umana. E invece oggi l’Ue non reagisce di fronte al Mare Nostrum cimitero di speranze, come se i naufragi (negli ultimi 10 anni quasi 30mila vittime) fossero un effetto collaterale del fenomeno migratorio. Tra il 2023 e il 2024 è diminuito il numero degli sbarchi sulle coste italiane: dall’inizio di quest’anno sono arrivate 23.978 persone, tra loro 3.197 minori stranieri non accompagnati. Nel 2023, nello stesso arco di tempo, erano state 56.655. Complessivamente lo scorso anno sono approdati 158mila migranti.

Nel 2023 i morti o dispersi nel Mediterraneo sono stati appunto 3.129. Nel 2024, fino a giugno, la stima è di 920. Lo scorso anno ogni 100 sbarchi ci sono state 1,98 vittime, mentre in quello in corso 3,83: quasi il doppio. Il calo degli arrivi ma la crescita dell’incidenza delle morti corrisponde alla riduzione dei soccorsi. Quelli degli Stati che si affacciano sul Mare Nostrum sono limitati per scelte politiche mentre il governo italiano ha messo in pratica anche provvedimenti che penalizzano gli interventi delle navi umanitarie. È stata ricostruita una mappa delle rotte vessatorie inflitte dal Viminale alle imbarcazioni della flotta delle organizzazioni non governative nel tentativo di tenerle il più possibile lontano dall’area dei soccorsi e di rendere le missioni finanziariamente insostenibili. Le rilevazioni effettuate con il sistema di tracciamento «Osint» mostrano, negli ultimi tre mesi, sette viaggi su e giù dal Mediterraneo fino al nord Italia per la Geo Barents di Medici senza frontiere, sei per la Humanity 1, cinque per la Ocean Viking, tre per la Sea Eye 4 e la Life Support, persino uno per la piccola Aita Mari che, nonostante la stazza ridotta, è stata inviata fino a Ravenna, 1.500 chilometri da Lampedusa, il porto più lontano con Genova.

I conti economici sono salati: più di otto milioni di euro di spese aggiuntive nel 2023, 150mila chilometri percorsi senza motivo (pari a tre volte e mezzo il giro del mondo, calcolano le ong), 374 giorni di assenza forzata dalla zona di ricerca e soccorso nel 2024. Un trend in crescita nella prima metà di quest’anno, con le navi umanitarie costrette ad allungare le loro missioni mediamente di 6-8 giorni (tanti ce ne vogliono fra andata e ritorno) e costi che lievitano di almeno 80mila euro a viaggio. Un onere che, nonostante le generose donazioni private, ha costretto diverse organizzazioni a rallentare gli interventi.

La riduzione degli sbarchi può avere varie cause. Sono calate le partenze dalla Tunisia, anche per effetto del memorandum siglato dall’Italia con il Paese del Maghreb. Un accordo che lascia aperto un altro problema di coscienza. È stato documentato come centinaia di migranti respinti da Tunisi vengano deportati nel deserto libico e abbandonati senza acqua né cibo. E proprio in Libia nulla è cambiato: nonostante le reiterate denunce dell’Onu, sono sempre attivi i lager nei quali sono internati i migranti respinti in mare nel viaggio verso l’Europa. Le intese che hanno esternalizzato le frontiere dell’Ue non prevedono l’imposizione di interventi per mettere fine a pratiche criminali anche verso donne e bambini. Siamo ancora di fronte a tragedie che chiamano in causa le coscienze: non tutto è accettabile in nome della riduzione degli sbarchi. È una questione di umanità.

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