Economia / Val Calepio e Sebino
Domenica 02 Luglio 2023
Meno bottonifici ma il settore è vivo e punta alla ricerca
IL BILANCIO. Un tempo prodotti 7 miliardi di pezzi all’anno. Col Covid chiuse tante piccole aziende, ma molte rilanciano attraverso tecnologia, sostenibilità e personalizzazione.
Nei tempi doro, nell’area compresa tra Telgate, Chiuduno e Grumello del Monte, se ne producevano oltre 7 miliardi all’anno, a conferma di come il mercato fosse reattivo nei confronti del prodotto. Nell’ultimo ventennio si è però assistito ad un cambiamento dei flussi con una contrazione delle quantità prodotte e del numero di aziende del comparto. La difficoltà di mappare concretamente le imprese orobiche dedicate al bottone la dice già lunga, con un codice Ateco che include anche altre tipologie di fabbricazioni oltre al fatto che non tutti i bottonifici sono iscritte (e quindi censiti) ad associazioni di categoria.
Eppure la storia del bottone di una Botton Valley a livello italiano, compresa nell’area tra Telgate, Chiuduno e Grumello, fa capire il peso storico del settore. Qui, dopo un periodo di fioritura, si è assistito ad un progressivo ridimensionamento delle imprese. Diversi i fattori di questo cambiamento, con lo tsunami-Covid che ha dato il colpo di grazia (ma la chiusura di aziende di dimensioni ridotte era iniziata anche prima), o alla revisione del modus operandi - e al calo del fatturato di quelle più strutturate. A sopravvivere, ripartendo, sono state quelle che hanno avuto la lungimiranza di continuare a investire in ricerca e tecnologia, puntando sulla specializzazione, sul prodotto alto di gamma e sull’export. «Sebbene il numero di pezzi prodotti sia negli anni diminuito – conferma Edoardo Signorelli della Mabo, con sede a Telgate e Chiuduno e con 70 dipendenti -, il volume d’affari ha retto ed è anche aumentato. Questo perché i marchi-moda che cercano il prodotto italiano sono orientati alla personalizzazione dell’accessorio e non scendono a compromessi in materia di cura della lavorazione e di attenzione al prodotto finito. La richiesta ha implicato per le aziende un incremento del personale dedicato soprattutto all’analisi della qualità, con conseguente innalzamento del prezzo di ogni bottone».
La concorrenza asiatica
«Quelli a costo inferiore - aggiunge Signorelli -, invece, sono spessodi produzione asiatica e sacrificano la qualità per il prezzo». Customizzazioni e tecniche di lavorazioni particolari sono le richieste non solo del mondo della moda, ma anche del mercato delle mercerie, come sottolinea Alessia Salomoni del Bottonificio Al.Ma di Chiuduno che, con i suoi 10 dipendenti, fornisce soprattutto le rivendite dirette. «Anche questo target è sempre più vocato verso bottoni capaci di far accrescere il percepito della loro destinazione d’uso. Un cambiamento post Covid che ha richiesto, a realtà piccole come la nostra, di modificare l’approccio di vendita. Le quantità sono diminuite, ma il valore del prodotto è stato preservato». Valore che strizza l’occhio alla sostenibilità, declinata nell’uso di materiali naturali o riciclati.
Materiali più naturali o riciclati
«Materiali rigenerati o ricavati da scarti attraverso specifiche tecniche di lavorazione – puntualizza Danielo Scaburri del Gruppo Uniesse di Chiuduno che conta su 80 dipendenti e su uffici commerciali in Usa e ad Hong Kong - sono sempre più richiesti dal mercato. Ricerca, innovazione e tecnologia vanno in questa direzione, sostenute da un solido know how e creatività tipicamente italiana». Tutti fattori che, negli anni, sono stati salvifici per quelle imprese che hanno dovuto fronteggiare la concorrenza asiatica.
Risorse difficili da reperire
Contare su personale tecnico specialistico diventa vitale per nuove opportunità di sviluppo, ma il problema è trovarlo. «Risorse specializzate, con competenze mirate – racconta Natascia Signorelli del Bottonificio Ribl di Carobbio con 20 dipendenti - sono una chimera e i ragazzi che si approcciano al settore spesso non hanno la pazienza di imparare i segreti del mestiere. Lo scorso anno in estare, abbiamo contattato alcune scuole per offrire l’opportunità agli studenti di venire in azienda ad imparare l’uso dei macchinari. Nessuno, però, ha raccolto questa opportunità».
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