Medioriente la soluzione che non si vuole vedere

MONDO. Quello che più stupisce, in coda ai dieci mesi di massacri e guerre innescati dalla strage organizzata da Hamas il 7 ottobre scorso, è la riluttanza, anzi la generalizzata e imbarazzata renitenza ad ammettere il clamoroso fallimento a cui la classe politica contemporanea ha condannato lo Stato ebraico.

E di cui sono testimoni le centinaia di migliaia di israeliani che da mesi scendono in piazza per chiedere le dimissioni del Governo di Benjamin Netanyahu e dei suoi suprematisti bianchi. Protestano semplici cittadini maltrattati dalla polizia e dispersi con gli idranti come se fossero delinquenti. O i lavoratori scesi in sciopero ieri. O i giornalisti di testate prestigiose come Haaretz, ultimi custodi della dignità dell’Israele delle origini, che attoniti non cessano di denunciare i ragazzi palestinesi usati dalle truppe come scudi umani, le torture nelle carceri, i troppi bambini colpiti dai cecchini e sempre alla testa, le frottole della propaganda e della censura militare, insomma la deriva pseudo-securitaria di un Governo che ha contribuito a rendere il Medio Oriente, e Israele in esso, sempre meno sicuro.

Il negazionismo di cui sopra non è nuovo. È quello che ha accompagnato per molti anni una politica insostenibile in cui tutti, più o meno, hanno fatto finta di non capire che la continua mortificazione del popolo palestinese, a forza di insediamenti illegali e sequestri di terra, non poteva portare alla pace ma solo ad altra guerra. E in cui tutte le grandi capitali, in nome dell’innegabile importanza strategica di Israele, hanno smesso persino di provare a trovare una soluzione, pensando che si potesse tirare avanti girando qualche mancetta ad Abu Mazen e all’Autorità palestinese e riempiendo di armi Israele. Allo stesso modo con cui oggi fanno finta di non capire che Netanyahu e i suoi, incapaci di risolvere il problema Hamas (che doveva essere «sradicato da Gaza» e a Gaza ha addirittura il suo vertice), stanno ormai cercando di decimare i palestinesi nella Striscia e di togliere ulteriore terra a quelli della Cisgiordania, dove i morti sono ormai quasi 800 e dove i gruppi radicali stanno crescendo all’ombra della nullità di Abu Mazen e della sua gerontocrazia.

Abbiamo sempre detto e scritto che Hamas non è un movimento di liberazione del popolo palestinese (come sostiene invece il presidente turco Erdogan) ma un movimento islamista che fa politica sulla pelle dei palestinesi. E che l’autocrazia instaurata da Abu Mazen (in Cisgiordania non si vota dal 2006) è solo un patetico cerotto sulla generale incapacità palestinese di esprimere una classe politica degna di questo nome. Di recente dodici movimenti politici palestinesi, per parlarsi, sono dovuti riunirsi addirittura a Pechino, senza peraltro concludere nulla, nemmeno di fronte alla strage che ogni giorno si compie a Gaza. E allo stesso modo sarebbe folle non riconoscere che Israele in Medio Oriente ha un nemico che, nemmeno nell’ostilità, non risponde (solo) alle normali logiche della geopolitica ma piuttosto a un mix di odio religioso, etnico e politico a sua volta difficilmente comprensibile. È l’Iran, che a sua volta manovra anche entità più che insidiose come gli Houthi dello Yemen e l’Hezbollah del Libano.

Nulla di tutto questo può essere negato o sminuito. Ma nulla di tutto questo cambia la realtà: un popolo palestinese non solo esiste ma ha diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Per lungo tempo i palestinesi e le loro pulsioni peggiori hanno avuto l’assistenza almeno finanziaria di molti Paesi arabi. Ma da molti anni l’appoggio internazionale è tutto per Israele, e i Paesi arabi di cui sopra ormai fanno a gara nel mostrare il desiderio di trovare un’intesa con Israele, nel nome della reciproca convenienza. È incredibile che gli Usa, l’Europa e le petromonarchie, con le risorse (economiche, finanziarie e tecnologiche) di cui dispongono, non riescano o non vogliano trovare un modo per sistemare pochi milioni di palestinesi e, con quello, garantire a Israele un futuro che non sia legato solo all’infinito potenziamento di una macchina bellica che già non ha uguali in Medio Oriente. Senza contare che una soluzione «palestinese» sarebbe anche il miglior sistema per «disarmare» le velleità dell’Iran.

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