Medioriente, la cappa di paura che arriva dal passato

MONDO. Stiamo attraversando questi giorni dentro una cappa di preoccupazione che da molti anni non era così pesante. Assistiamo, impotenti, ai preparativi di una guerra che nessuno vuole ma che, a furia di dirlo e ripeterlo, è diventata inevitabile.

Gli Stati Uniti muovono le loro notevoli forze nella previsione di doversi schierare accanto a Israele in quello che sembra un prossimo scontro con l’Iran. Gli ayatollah, che dopo l’uccisione a Teheran del leader di Hamas Haniyeh hanno giurato vendetta, non restano certo inattivi: è inquietante l’incontro tra il neopresidente Masoud Pezeshkian e l’ex ministro della Difesa e attuale segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergej Shoigu, che preparerebbe la fornitura agli iraniani dei più moderni sistemi di difesa antiaerea. Inquietante anche perché, se confermato, il passo del Cremlino avrebbe due gravi conseguenze. Da un lato chiuderebbe una lunga stagione di intesa cordiale tra Russia e Israele: Netanyahu è secondo solo a Xi Jinping per numero di incontri con Putin, e l’Urss fu il primo Paese a riconoscere lo Stato ebraico. E dall’altro certificherebbe un’intesa a vasto raggio con l’Iran tale da mettere a rischio molti altri equilibri, con inevitabili scossoni in tutta la regione.

Le trattative e i contatti per evitare una guerra vera, totale, sono in questi giorni frenetici. Quello che tutti cercano, o almeno sperano, è un contenimento della crisi, una specie di replica di ciò che avvenne nell’aprile scorso, quando l’Iran portò un prevedibile attacco con i droni e Israele rispose con un’incursione dagli obiettivi palesemente limitati. Più passano i giorni, più si infittiscono le provocazioni, più si allargano le speculazioni politiche sulla crisi, da Erdogan a Netanyahu ad Alì Khamenei, però, e meno facile diventa chiedere e ottenere moderazione. Pesano sul presente, e sui possibili sviluppi futuri, le troppe leggerezze e i troppi errori del passato.

Ma davvero gli Stati Uniti non si sono accorti della continua deriva a destra della politica israeliana? Davvero Netanyahu pensava che Israele non avrebbe mai pagato dazio per le continue espropriazioni di territorio palestinese? Alla luce di quanto succede in questi mesi, come giudichiamo l’iniziativa con cui Donald Trump, nel 2017, diede disdetta all’accordo sul nucleare iraniano siglato da Obama, accordo che secondo tutti gli osservatori esterni (Onu e Ue, per esempio) stava funzionando e aveva riportato l’Iran sotto i controlli dell’Agenzia Onu per l’energia atomica? E che dire del Congresso Usa che applaude Netanyahu quando incredibilmente afferma che a Rafah le truppe di Israele non uccidono i civili ma li salvano? E le fazioni palestinesi, impegnate soprattutto a sfruttare gli aiuti esteri, sono ora soddisfatte di quanto hanno ottenuto per il loro popolo?

La verità è che troppi attori importanti hanno lavorato per il conflitto e ora cercano di disinnescare le micce che prima si sono sforzati di accendere. Molti Paesi arabi hanno per lungo tempo flirtato con l’idea folle, che ancora alberga non solo tra i terroristi di Hamas ma anche tra molti palestinesi «normali», di vedere un giorno sparire Israele: serviva, a quei Paesi, per alzare il prezzo nella trattativa con gli Usa per il riconoscimento dello Stato ebraico. Altri, per esempio quelli dell’Unione Europea, se ne sono lavati le mani al riparo della formuletta «Israele ha il diritto di difendersi», senza più chiedersi chi avrebbe difeso i palestinesi dalle prepotenze del tanto più forte vicino, da un’espansione illegale che dura dal 1967, e meno ancora chiedendosi come, in quelle condizioni, si sarebbe potuta realizzare la formula «due popoli due Stati» che ripetono come un inutile mantra.

Siamo arrivati fin qui, sotto questa cappa di paura, non per caso ma proprio perché abbiamo quel passato. E la nostra incapacità di tornare sui passi perduti è tale che, oltre all’azione, abbiamo perso anche la parola. Mentre stiamo a valutare chi attaccherà chi e quando, non raccontiamo nemmeno più che intanto la gente continua a morire. Nelle scuole di Gaza (ne sono state abbattute 152, con 1.040 morti), che sono ovviamente tutte e sempre covi di terroristi. In Libano: 500 morti negli ultimi sei mesi. Nelle città del Sud e del Nord di Israele colpite dai razzi.

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