Medici e infermieri, ai test di ammissione iscritti in calo dell’11,8%

I NUMERI IN LOMBARDIA. Flessione più che doppia rispetto all’Italia. Per Medicina si sfiora il -20%. «Mano ai fondi per rendere le carriere più attrattive».

Da questa prospettiva, la matematica conferma un’opinione. Sono infatti i dati a certificare il senso comune: alcune professioni sanitarie continuano a perdere attrattività, e nonostante i buoni propositi ancora non si vede l’inversione di una lunga tendenza negativa. Vale per gli infermieri, vale per i medici di medicina generale. La riprova viene dall’andamento recente delle iscrizioni ai corsi di laurea e ai corsi di formazione specifica in Lombardia: per le «professioni sanitarie» (ampia categoria in cui rientrano i corsi di Infermieristica, ma anche ambiti con numeri più bassi come i tecnici sanitari e i fisioterapisti) le domande sono calate dell’11,8% rispetto a un anno fa, mentre per il solo corso di formazione specifica in Medicina generale (necessario per esercitare come medico di base «titolare») la flessione delle richieste è del 19,5%.

Infermieri e professionisti

La traiettoria vira verso il basso ovunque. A tirare le somme per la Lombardia è un’analisi redatta da Angelo Mastrillo, professore di Organizzazione delle professioni sanitarie all’Università di Bologna: rispetto alle 7.200 domande dello scorso anno accademico, quest’anno le richieste sono state solo 6.349 (su 4.013 posti a bando), appunto con una contrazione dell’11,8%. La perdita di appeal risulta anche da un altro punto di vista, quello che sintetizza il rapporto tra domanda e offerta: un anno fa nelle università lombarde erano giunte circa 1,8 domande per ogni posto a bando, quest’anno si è scesi a 1,6 domande per ogni posto messo a bando.

Per le «professioni sanitarie» le domande sono calate dell’11,8% rispetto a un anno fa, mentre per il solo corso di formazione specifica in Medicina generale la flessione delle richieste è del 19,5%

Si entra poi nel dettaglio dei singoli atenei statali che offrono corsi di laurea nelle professioni infermieristiche: l’Università degli Studi di Milano segnala un calo del 21,3% rispetto a un anno fa (da 3.332 a 2.623 domande), la Bicocca cala del 6,7% (da 988 a 922 domande), l’Università di Brescia perde l’8% (da 1.429 a 1.314 domande), all’Università dell’Insubria la situazione resta invece immutata (638 domande anche quest’anno, le stesso di un anno fa), e in controtendenza c’è solo l’Università di Pavia con un incremento del 4,9% (da 812 a 852 domande). I riflessi per la Bergamasca sono indiretti: tra città e provincia ci sono alcune sedi didattiche di altri atenei lombardi (il «Papa Giovanni» per la Bicocca e Alzano-Asst Bergamo Est per Brescia, poi tra i privati la Gavazzeni per Humanitas University e il Policlinico San Pietro per l’Università Vita-Salute San Raffaele), per un totale di 235 posti per il prossimo anno accademico in Infermieristica; il «Papa Giovanni» è polo di formazione anche per i corsi di Fisioterapia, Ostetricia, Tecnici di Radiologia medica per Immagini e Radioterapia della Bicocca.

«Meno studenti dal Sud»

Il calo delle «vocazioni» per le professioni sanitarie in Lombardia è più che doppio rispetto alla media nazionale (-4,2% rispetto allo scorso anno accademico). Perché? «Una delle probabili ragioni di questo calo – riflette il professor Angelo Mastrillo – potrebbe essere la minore affluenza degli studenti delle regioni del Sud rispetto agli anni scorsi. L’attuale precaria situazione economica del Paese impedisce alle famiglie di poter garantire per i propri figli gli studi al Nord, come era invece consuetudine fino al 2019, prima della pandemia. Ora il caro affitti scoraggia questa dinamica».

«Servono politiche di rilancio»

Alla base però c’è un nodo ormai storico, soprattutto per Infermieristica: «I dati sono la dimostrazione della perdita di attrattività della professione – rileva Gianluca Solitro, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Bergamo -. Ancora non si vedono delle concrete politiche di rilancio, che devono passare dall’adeguamento dei compensi e dalla valorizzazione delle competenze nell’ottica di nuovi percorsi di carriera. Si propongono solo soluzioni temporanee e sul breve periodo, come la figura dell’assistente infermiere, che però non ha una formazione specifica e rischia di portare a dei passi all’indietro. Se vogliamo dare una vera e propria svolta, occorre metter mano ai fondi».

La vera prova dei fatti per i medici di base sarà al test d’ingresso in programma per il 9 ottobre, quando si capirà davvero quale sarà l’effettiva partecipazione

I futuri medici di base

In proiezione, non va meglio nemmeno per i medici di base. Il polso della situazione giunge dal corso di formazione specifica in Medicina generale, organizzato da Polis (ente di Regione Lombardia): per il nuovo corso triennale 2024/2027 sono state presentate 556 candidature (per 505 posti disponibili), in calo del 19,5% rispetto ai 703 candidati di un anno fa (per 416 posti disponibili). La vera prova dei fatti sarà peraltro al test d’ingresso in programma per il 9 ottobre, quando si capirà davvero quale sarà l’effettiva partecipazione: un anno, infatti, al test si presentarono poi solo in 344 (in altri termini, la metà dei candidati poi diserto).

Marinoni: «La professione del medico di medicina generale va resa attrattiva. Non possiamo pretendere che i giovani facciano questa scelta quando non ci sono spazi di libera professione, la retribuzione è sostanzialmente abbastanza bassa e l’impegno lavorativo è alto»

«Questo succede perché molti si iscrivono anche alla specializzazione universitaria (per lavorare in ospedale, ndr), la vera valutazione sul successo del bando la si potrà fare solo dopo il test d’ingresso» premette Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo. «Da tempo lo ribadiamo: la professione del medico di medicina generale va resa attrattiva. Non possiamo pretendere che i giovani facciano questa scelta quando non ci sono spazi di libera professione, la retribuzione è sostanzialmente abbastanza bassa, l’impegno lavorativo è alto, la burocrazia è pervasiva. Le ricette sono chiarissime, il problema è metterle in atto. E per metterle in atto ci vogliono investimenti». Tra l’altro, il corso di formazione per i futuri medici di base – in capo alle Regioni – resta ancora separato dalla formazione universitaria, cioè dalle scuole di specialità per i futuri «ospedalieri»: «Se il corso per Medicina generale fosse equiparato alla formazione universitaria – ragiona Marinoni -, un vantaggio sarebbe quello del sistema delle equipollenze (cioè dell’equiparazione tra alcune specialità per la partecipazione ai concorsi, ndr): questo creerebbe più permeabilità tra le aree e darebbe più flessibilità anche alla medicina generale».

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