«Liquirizia» & Co: così tentarono la rapina al Tir

BARIANO. L’autista reagì, assalto fallito. Persero la pistola. A processo in 5, individuati in un’indagine della Dda di Catanzaro.

«Paponia», «Liquirizia», «Termico». Usavano questi soprannomi per non farsi riconoscere, i banditi che nel 2011 avrebbero tentato di assaltare un tir carico di rame e ottone a Bariano. Ma alla fine i carabinieri li hanno individuati comunque e ora 5 persone sono alla sbarra. A loro si è risaliti attraverso le intercettazioni dell’indagine «Final destination» della Dda di Catanzaro. I cinque imputati - cui nell’indagine bergamasca non è contestato di far parte di associazioni mafiose - sono Cristian Michele Burzì, 40 anni, domiciliato a Romano; Fulvio Cilisto, 52, di Romano; Maurizio Cocciolo, 48, di Rho (Milano); Domenico Mancuso, 48, originario di Vibo Valentia e residente a Roma; Gerardo Mazzone, 66, di San Calogero (Vibo Valentia).

Sono accusati – ma fino a che non sarà definitiva la sentenza vanno considerati presunti innocenti – dell’assalto a un tir a Bariano il 5 maggio del 2011, all’altezza del sottopasso della linea ferroviaria Milano-Venezia, sfumato per la prontezza di riflessi dell’autista, un 61enne bresciano di Urago d’Oglio.

Il tir Man con circa 30 tonnellate di rame e ottone proveniva da Romano ed era diretto verso Bergamo. Due banditi su un furgone precedevano il camion già da qualche chilometro. Quando alle 10,46 il pesante automezzo aveva iniziato la discesa del sottopasso, il furgone aveva di colpo frenato. Bloccato il Tir, era scattata l’azione dei banditi che avevano raggiunto la cabina del camion. Mentre il primo rapinatore cercava di aprire la portiera del lato guidatore, il complice aveva bloccato la portiera opposta per impedire la fuga del conducente. La resistenza del camionista aveva però impedito al primo bandito di avere la meglio: il secondo era riuscito invece a infrangere il vetro della cabina dal lato passeggero e si era catapultato nell’abitacolo.

Ma qui aveva dovuto fare i conti col camionista. Che lo aveva colpito ed era fuggito stringendo in mano le chiavi dell’accensione e dopo aver gettato quelle dell’antifurto dietro la cabina. I banditi erano dovuti fuggire e si erano disfatti di una coperta con la quale avrebbero dovuto immobilizzare l’autista, ritrovata poi abbandonata a Romano. Non solo, durante il colpo avevano perso la pistola giocattolo, poi sequestrata dai carabinieri. «Gli è caduta?», si sente chiedere nelle intercettazioni. «È pulita, almeno?». «Sì, perché avevamo i guanti». Lo ha spiegato ieri a processo il maresciallo Fabio Marino, all’epoca in servizio alla Compagnia carabinieri di Tropea.

C’è anche una Fiat Grande Punto che era monitorata con una «cimice» nell’ambito dell’inchiesta calabrese. Il sottufficiale ieri ha detto che era in uso a Burzì. Si sentivano le voci degli occupanti e il Gps ha tracciato i percorsi effettuati dalla vettura in quei giorni. Un anno dopo i carabinieri calabresi hanno ripercorso i tragitti per prendere visione dei luoghi. E hanno realizzato che l’auto nei giorni precedenti e in quello dell’assalto era passata nelle vicinanze di aziende che trattano metalli. Tra i punti toccati dalla vettura monitorata, c’erano via Palazzolo a Telgate, dove c’è una ditta specializzata, e la Franciacorta. E via Locatelli a Bariano, nei pressi del luogo dell’assalto, alle 9,33 del 5 maggio 2011, poco più di un’ora prima della tentata rapina.

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