L’infarto, il Covid, il trapianto di cuore: «Così sono rinato dalla terapia intensiva»

LA STORIA. Sergio Accardi, medico di Zogno, ora fa parte dell’Associazione Ecmo. «A fine anno un libro con cinque storie».

«Morire quanto necessario, senza eccedere/ Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato». Wislawa Szymborska nella poesia «Autotomia» mette in fila parole potenti per raccontare come sia possibile rigenerarsi, attraversare le difficoltà e ripartire. Versi che sembrano scritti apposta per Sergio Accardi, medico di Zogno, più volte temprato dal fuoco della vita: ha superato un brutto infarto nel 2012, il covid - nella sua forma peggiore - nel marzo 2020, e un trapianto di cuore tre mesi fa.

Oggi può ripercorrere la sua storia sorridendo, con la consapevolezza che ogni tappa gli ha portato qualcosa di importante: «Contando anche il momento in cui sono venuto al mondo - dice - e l’anno trascorso nel servizio militare con i carabinieri paracadutisti, che ha rappresentato il passaggio alla vita adulta, è come se fossi rinato cinque volte».

Fare il conto dei giorni che ha trascorso in terapia intensiva potrebbe essere scoraggiante per chiunque ma non per lui, che ha scelto comunque di cimentarsi nel 2016 nel Cammino di Santiago «da paziente cardiopatico», svolge anche oggi tante attività di volontariato con Ecmo per la vita, Avis, Aido, Fondazione aiuti alla ricerca per le malattie rare (Armr) e si è impegnato in passato come «medico missionario» in Ruanda e Romania.

«È arrivato il momento»

Quando l’hanno ricoverato nel novembre scorso, in attesa di trapianto, sapendo che il soggiorno in corsia sarebbe stato lungo, il suo primo pensiero è stato procurarsi una tastiera da portare con sé: «Suonare il piano - osserva - è una delle mie grandi passioni, la musica allevia la sofferenza e l’attesa».

L’associazione Ecmo

Si è unito all’associazione Ecmo per la vita dall’ottobre scorso: «Me lo hanno chiesto subito, al momento della fondazione di questo gruppo, ma ancora non me la sentivo. Mi ricordava il periodo difficile in cui ho avuto bisogno di questo macchinario per sopravvivere. Ho preferito aspettare un po’, e adesso è arrivato il momento. Mia moglie Monica e io ci siamo iscritti e abbiamo iniziato a partecipare alle attività di raccolta fondi. Alla fine dell’anno pubblicheremo un libro per spiegare cosa sia Ecmo. Conterrà cinque storie di pazienti, ci sarà anche la mia, intitolata “Che fantastica storia è la vita”, come la canzone di Venditti».

La passione per lo sport

Lo sport ha sempre avuto una parte importante nella vita di Sergio: «Ho sempre fatto un po’ di tutto: tennis, mountain bike, sci di fondo, sci alpinismo, corsa, parapendio e altro ancora». Nel 2012 è arrivato terzo nella sua categoria e undicesimo assoluto nel campionato del mondo per i medici di corsa su strada in Val di Fassa, ma non ha avuto tempo di godersi questa soddisfazione: «Ero tornato a casa da pochi giorni quando ho avuto un infarto. Era una serata uggiosa, terminate le visite in ambulatorio stavo facendo allenamento sulla ciclabile della Valle Brembana. Ero più o meno a metà strada quando mi sono sentito male. Fortunatamente sono riuscito a chiamare i soccorsi e mia moglie. Sono arrivati subito con l’ambulanza, mi hanno fatto la diagnosi elettrocardiografia sul posto, e mi hanno portato nell’unità coronarica dell’ospedale di Bergamo».

La prognosi non è stata subito favorevole: «Avevo tre coronarie chiuse e una lesione vastissima di tutta la parte destra del cuore, cosa abbastanza rara. Poi mi sono aggravato, ho avuto una serie di arresti cardiaci, finché mi hanno messo in coma farmacologico e mi hanno trasferito in terapia intensiva. Hanno dovuto attaccarmi a Ecmo, perché il mio cuore e i miei polmoni non erano in grado di supportare le attività vitali».

A cosa serve l’Ecmo

Ecmo è un acronimo che viene dall’inglese Extra Corporeal Membrane Oxygenation (Ossigenazione extracorporea a membrana), ed è un metodo di circolazione extracorporea, che offre supporto vitale a pazienti con gravi problemi respiratori, cardiaci o entrambi. In pratica, il sangue del paziente viene temporaneamente prelevato, ossigenato al di fuori del corpo e quindi reintrodotto nel flusso sanguigno. Sergio ne ha avuto bisogno per 21 giorni: «Mi avevano messo nella lista d’urgenza per il trapianto, ma poi hanno provato a staccarmi dal macchinario e hanno visto che riuscivo a respirare da solo, mi sono stabilizzato e le mie condizioni sono migliorate. Sono rimasto in terapia intensiva per 50 giorni poi mi sono ripreso e mi hanno dimesso, pur avvisandomi che prima o poi sarebbe arrivato il momento del trapianto. Il mio cuore, comunque, mi ha accompagnato per altri dodici anni».

L’idea del Cammino di Santiago

Da allora Sergio è stato comunque bene, conducendo una vita lavorativa e sociale pressoché normale: «Ho dovuto limitare un po’ l’attività sportiva rispetto alle mie abitudini ma la tecnologia mi è venuta incontro: mia moglie e io ci siamo dotati di bici assistite. Mi sentivo comunque in forma, tanto che nel 2015 sono partito con tutta la famiglia per uno dei nostri viaggi itineranti. Come d’abitudine avevamo previsto tappe che incontrassero i gusti e le passioni di tutti: mare, relax, sport e visite culturali. Ci siamo diretti verso la Francia e la Spagna fermandoci nella zona di Viana, vicino a Pamplona, perché mio figlio Nicola, appassionato di storia, voleva fermarsi nel luogo dove è sepolto Cesare Borgia. Così il nostro itinerario si è casualmente incrociato con quello dei pellegrini in cammino verso Santiago di Compostela. Ci siamo fermati in un ristorante, dove ne abbiamo incontrati diversi, e abbiamo parlato un po’ con alcuni di loro, cercando di capire che cosa li spingesse a compiere un’esperienza così faticosa. Sono rimasto colpito e incuriosito dalle loro risposte e dal loro entusiasmo. Così, mentre tornavamo in auto, a un certo punto ho chiesto a mio figlio di accostare e ho annunciato solennemente che avrei percorso anch’io il Cammino di Santiago, e poi l’ho fatto davvero».

«Purtroppo, non ho avuto fortuna dal punto di vista meteorologico, perché ha piovuto per 35 tappe su 47, ma è stata un’esperienza incredibile»

Si è preparato con cura sapendo che le sue condizioni di salute richiedevano attenzione, ma non ha mai rinunciato: «Ho percorso a piedi oltre 750 chilometri. Mi è capitato qualche scompenso cardiaco, e quando si è reso necessario ho percorso brevi tratti in autobus oppure in taxi, ma è andata molto bene. Purtroppo, non ho avuto fortuna dal punto di vista meteorologico, perché ha piovuto per 35 tappe su 47, ma è stata un’esperienza incredibile, che mi ha lasciato un segno profondo dal punto di vista spirituale e umano, e perché ne rimanesse traccia ho scritto un diario, poi pubblicato. Sono arrivato a Santiago e in seguito, nel 2018, ho percorso l’ultimo tratto fino a Finisterrae».

Anche l’incubo del Covid

A marzo 2020, nel periodo più oscuro della pandemia da covid-19, anche Sergio si è ritrovato coinvolto: «Mi sono ammalato e sono stato ricoverato. Le mie condizioni erano molto serie, e superare la malattia, considerata la mia fragilità, è stato molto impegnativo. Ho trascorso 50 giorni in terapia intensiva e un paio di mesi in sub-intensiva. Nessuno avrebbe scommesso sulla mia sopravvivenza, dato che intorno a me morivano persone, che non avevano i miei pregressi. Quando mi hanno risvegliato dal coma farmacologico, mi sono ritrovato in terapia intensiva in mezzo a medici e infermieri spettacolari, che correvano come dannati, chiusi dentro gli scafandri, sicuramente soffrivano e sudavano eppure avevano sempre una parola gentile per tutti. Non hanno mai mollato. È stata una cosa incredibile, mi ricordo che mi sorridevano con gli occhi, che erano l’unica cosa che potevamo vedere».

Nel reparto di terapia subintensiva Sergio ha incontrato un infermiere della chirurgia, che lo ha sostenuto nel processo di guarigione: «Quando ha scoperto che sono appassionato di tiro a segno mi ha procurato un abbonamento a una rivista specializzata. Una volta uscito dall’ospedale ci siamo persi di vista. Poi però, in modo del tutto inaspettato, l’ho ritrovato in sala operatoria al momento del trapianto. Una coincidenza davvero singolare».

Sergio si è ripreso dal covid, è tornato a casa ma il suo cuore era più fragile e ha cominciato a darne i segni: «Alla fine del 2023 ho avuto un breve arresto cardiaco e non me ne sono accorto, mi hanno avvertito dall’ospedale, che monitorava il funzionamento del mio cuore. Da quel momento mi hanno rimesso in lista per il trapianto. A quel punto mi costava molto sforzo salire le scale, dovevo fermarmi a ogni pianerottolo, non riuscivo a percorrere una strada in salita. Ho avuto alcuni disturbi del ritmo cardiaco, mi hanno fatto una cardioversione ed è riuscita, poi però la situazione è peggiorata».

L’urgenza e il trapianto

Così i medici che lo seguivano hanno deciso di inserirlo nella lista d’urgenza per il trapianto di cuore: «Il 19 novembre scorso mi hanno ricoverato, spiegandomi che non sarei più tornato a casa prima del trapianto, e che ci sarebbero voluti da tre a sei mesi di attesa. Sono andato a comprarmi una tastiera da portarmi in ospedale per passare il tempo suonando». L’attesa, invece, è stata più breve del previsto: «Il 9 gennaio mi è stato comunicato che c’era un donatore compatibile, e sono partite tutte le procedure di preparazione per l’intervento. Il recupero poi non è stato semplice, passavo ore al telefono con mia moglie per alleviare la fatica. Sono stato per poco tempo in terapia intensiva, dopo tre giorni mi hanno spostato in reparto. Passati i primi 10-12 giorni, in cui non riuscivo a dormire, mi sono stabilizzato e dopo un mese mi hanno dimesso».

«D’ora in poi festeggerò due compleanni»

Pian piano Sergio ha recuperato le energie, sempre affiancato e sostenuto dalla moglie, dai due figli Alice e Nicola, dalla sorella Enza e dal cognato Franco: «Ho ripreso le mie attività abituali, comprese quelle di volontariato, anche se sono ancora un po’ debole, ma sento già che dopo il trapianto ho la possibilità di una vita diversa, di nuovo piena e intensa. Sono già andato in una scuola media a raccontare la mia rinascita. D’ora in poi festeggerò due compleanni, il 28 agosto e il 10 gennaio, giorno della rinascita. Non passa giorno senza che io pensi alla persona che mi ha donato il cuore, un gesto straordinario, che mi ha restituito speranza e futuro».

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