M ercoledì di fine maggio. Il professor Caudano decide di sottoporre a una verifica i suoi alunni della Propedeutica. Seminaristi e liberi auditori. Lo fa non per cattiveria, ma per avere il polso della situazione, anche se gli pare che tutti seguano bene. In fondo, al Vescovo dovrà pur saper dire qualcosa, prima o poi. Il clima è lo stesso dei compiti in classe a scuola: silenzio, fruscìo delle pagine dei dizionari, sospiri, occhiate tese sui testi da tradurre, o vacue, nel nulla. Qualche richiesta al docente, di quando in quando. Qui mi verrebbe così ma non ha senso, non trovo questa parola, il congiuntivo non capisco che cosa ci stia a fare. Interruzioni che a Caudano non spiacciono, perché lo distraggono, mentre quell’atmosfera lo ha riportato alla scuola, e lui sa perfettamente che la scuola lo attende, a meno che ne fugga, con un gesto coraggioso di cui non si sente capace. Ma raramente qualcuno va a disturbarlo, sicché i pensieri molesti lo assediano. Tornare a Jesi e riprendere la vita consueta? Orrore. Rimanere in Langa? Meglio, ma con quali soldi? Un anno sabbatico è concepibile; un’esistenza sabbatica, no. Consueto labirinto, più soffocante a ogni visita. Perciò, il povero Elvio ne esce tornando con la mente alla gioia inattesa della vittoria in Europa League, gioia sempre più grande e consapevole. E mentre la riassapora tanto più nitidamente nel contrasto con la sua angoscia, d’istinto, su un foglio che ha davanti a sé, inizia a redigere una sorta di lettera a Gasperini, per indolente gioco della fantasia, pur sapendo che non gliela spedirà mai. Nella sua aggrovigliata grafia, scrive: