L e vittorie troppo larghe in genere non sono mai foriere di indicazioni. Spesso (ma non sempre) giungono al termine di partite dove la marcata differenza tra le due squadre toglie di mezzo ogni argomentazione tattica, e finiscono con il generare punteggi tennistici. In altri casi, come ad esempio la partita persa dall’Atalanta a Torino, sono generate da una serie di condizioni negative che attanagliano una delle due formazioni (i nerazzurri nell’occasione), e consentono all’altra (i granata) di fare un gran figurone. In altri casi ancora è lo sviluppo della gara stessa a stabilire una differenza marcata nel punteggio finale. In questo caso, una delle due squadre colpisce “a freddo” l’altra, e nei minuti di sbandamento che ne seguono, ne approfitta per affondare uno o anche due colpi (leggi reti) che incidono prima sulla tenuta mentale di chi è andato sotto, e poi, come facilmente prevedibile, sui suoi equilibri sul terreno di gioco. Un ultimo caso, forse il più insolito ma che qualche volta si è visto fare capolino anche nel nostro campionato, prevede che la differenza in punteggio venga generata da una delle due squadre che “decide” di non giocare, così da acuire al massimo una crisi tecnica che divide i giocatori dall’allenatore. Un segnale forte che viene lanciato alla dirigenza, che ne dovrà prendere atto.
Per quanto riguarda la sfida tra Atalanta e Frosinone, possiamo parlare di un po’ tutto questo, togliendo forse di mezzo solo l’ultima casistica. Troppo forte l’Atalanta per la formazione guidata da Di Francesco, che era arrivata alla sfida del Gewiss nel suo periodo peggiore di forma e di condizione mentale.