L’arte, la condivisione, i sorrisi: così una gita aiuta a riscoprire se stessi

L'INIZIATIVA. Caritas ha portato 40 persone per due giorni a Brescia, tra bellezze storiche e naturalistiche.

In uno dei dipinti di Cifrondi custoditi nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia c’è una ragazza con abiti da contadina, le guance rosate e lo sguardo perso lontano, come se stesse sognando. È una delle immagini che sono rimaste più impresse a Pierantonio durante la gita di due giorni a Brescia promossa da Caritas diocesana e rivolta a un gruppo di una quarantina di persone che fanno riferimento ai servizi di accoglienza e «di strada». «Un po’ mi rivedo in quella figura – racconta – Sembra quasi che mi guardi e mi spinga a indagare in me stesso».

L’arte è per tutti, dev’essere accessibile a tutti, come dimostra questa esperienza speciale. Non è un patrimonio inerte ma si intreccia in modo stretto con l’esperienza di vita. Davanti a un’opera – in questo spazio sottile fra reale e immaginario, sfumato come un sogno – può perfino accendersi la scintilla che porta a riconoscersi, recuperare fiducia in sé e nella vita, superare i limiti e gli ostacoli quotidiani. Può nascere un’occasione per diventare una versione migliore di se stessi e forse costruire un futuro più sereno.

Accadono, infatti, piccoli miracoli durante le gite di una compagnia così singolare, che comprende individui con diverse fragilità personali e sociali, accompagnati da operatori e volontari di Caritas-Diakonia, compreso il direttore, don Roberto Trussardi. Quest’anno, dando una forma inedita a «Cultura come cura», uno degli obiettivi di Bergamo Brescia Capitale della Cultura, in condivisione con gli enti coinvolti, si sono uniti al gruppo anche Simona Pasinelli, coordinatrice de «Le Vie del Sacro», e due ragazze coinvolte nel progetto, grazie al quale una quarantina di giovani nell’ultimo anno si sono messi alla prova nel ruolo di «mediatori culturali» del patrimonio artistico diocesano.

Il tema scelto era appunto «Luoghi dell’immaginazione. Condividere il desiderio di bellezza», consapevoli che, prima di tutto, cambiare aria e contesto può essere un aiuto prezioso per avere una prospettiva diversa sulla quotidianità.

Le «gite» sono ormai diventate una tradizione molto attesa: «Siamo stati a Siena, Assisi, Firenze – racconta Sergio, coordinatore dell’Équipe strada –. Negli ultimi due anni abbiamo lavorato intorno al tema della bellezza, dei sogni, dei desideri. L’anno scorso siamo stati a Loreto, Recanati e Porto Recanati, dove abbiamo trovato arte, spiritualità, e naturalmente il mare. Quest’anno forse sulla carta la meta sembrava meno appetibile perché Brescia è vicina, a un tiro di schioppo, invece siamo rimasti piacevolmente sorpresi, abbiamo trovato un ambiente accogliente e stimolante. Ci sono stati anche alcuni fuori programma molto belli come il saluto di Laura Castelletti, sindaca della città, che è venuta a incontrarci in piazza in un clima sereno e informale».

Tra i momenti più forti della due giorni bresciana c’è stato l’incontro con Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria e testimone della strage di piazza della Loggia. Il 28 maggio 1974 era alla manifestazione antifascista con un gruppo di amici della Cgil scuola. La bomba, nascosta in un cestino dei rifiuti, esplose in mezzo al gruppo e uccise sua moglie e altre sette persone. Manlio lo ha raccontato al gruppo, soffermandosi su ognuna delle foto del monumento che ricorda le vittime: «Sono rimasto molto colpito da quella piazza e dal suo carico di dolore», sottolinea Pierantonio.

Dare voce a chi non c’è più ha aiutato Manlio Milani a dare senso alla sofferenza: «Ci ha mostrato – sottolinea Simona Pasinelli – che ogni storia è come un tassello in un quadro più grande, una lezione utile anche a noi, che si rispecchia nel nostro percorso».

Manlio ha rievocato i nomi dei morti e le loro professioni, mettendo così in evidenza che in piazza della Loggia la società civile è stata colpita nella sua interezza: «Alla fine – ricorda Sergio – ha sottolineato che una delle persone uccise era un insegnante del Sud ed era quindi un immigrato». Lo ha detto a un gruppo molto variegato, in cui c’erano persone di diverse provenienze: «Così, in un attimo – continua Sergio –, ha sovvertito le nostre categorie, e l’impatto su di noi è stato potente. I nostri viaggi, in fondo, si nutrono di questo, percorsi e parole che si incontrano».

Fra i partecipanti c’era anche chi non capiva bene l’italiano, ma il messaggio, così profondo e autentico, è arrivato lo stesso. Per quel tempo breve si sono accorciate le distanze tra chi gestisce i servizi Caritas e chi ne usufruisce: «Eravamo insieme davanti a un dipinto – spiega Sergio – che suscitava emozioni in tutti noi. Con questo carico di suggestioni noi continuiamo ad approfondire e alimentare le relazioni per un anno, fino all’appuntamento successivo».

Ognuno ha reagito diversamente a questa proposta insolita per chi vive quotidianamente la realtà dura della strada, in cui è difficile, per esempio, avere fiducia nel prossimo. Qualcuno era perplesso, altri invece entusiasti. «C’è chi si è lamentato per due giorni – osserva Sergio – ma alla fine mi ha ringraziato». I momenti più intensi sono stati anche i più semplici: camminare insieme, riunirsi intorno alla tavola per mangiare. Un pasto «vero», allegro, condiviso in un clima di amicizia, anziché, magari, un po’ di cibo consumato dove capita.

«Ci siamo impegnati – chiarisce Simona Pasinelli – a studiare un programma adatto a questa occasione particolare. A volte davanti a un quadro ci siamo trovati spiazzati: siamo partiti dialogando con i partecipanti sulle impressioni personali e ci siamo trovati a ragionare sulla poetica di un artista, sul suo sguardo sulla vita. Ci siamo accorti che a volte noi esperti d’arte creiamo sovrastrutture che poi nella concretezza delle relazioni perdono significato. Abbiamo già attuato un’esperienza simile con donne ospiti di “Spazio Irene” e “Casa Samaria” con il progetto “Voglio la verità di me”, e questa gita ci ha offerto elementi in più per proseguire tenendo conto delle esigenze di chi partecipa, misurando meglio dettagli importanti come il tempo trascorso in piedi e le distanze da percorrere, che mettono alla prova resistenza e attenzione».

A Pisogne, nella chiesa di Santa Maria della Neve, i partecipanti alla gita si sono incontrati per caso con alcuni sacerdoti bresciani che stavano seguendo un incontro di approfondimento sull’arte, intervallato da un concerto: «È stato un imprevisto piacevole – spiega Pierantonio –, abbiamo ascoltato la musica e osservato gli affreschi, mi resterà un bel ricordo». A Montisola, invece, si sono immersi nella bellezza della natura.

Ad accompagnare il gruppo c’era anche Federica Zinnarello, 27 anni, laurea triennale in Lingue orientali, ora studentessa della specialistica in Letterature comparate a Bergamo e operatrice della Fondazione Bernareggi: «Ognuno in questo viaggio insieme ha fatto emergere qualcosa di sé. I commenti alle opere d’arte spesso coinvolgevano ricordi, particolari, storie. Per me è stata un’esperienza fortissima e inaspettata dal punto di vista umano, che mi ha aperto nuovi orizzonti. Portare queste persone ad apprezzare arte e cultura traendone aspetti vicini alla propria vita è stata una bella sfida. L’organizzazione delle visite in gruppi piccoli, con il supporto di esperti esterni, ha fatto in modo che ci fosse una maggiore condivisione e vicinanza. È stato interessante mettersi in gioco in modo diverso, anche dal punto di vista umano». Spesso le risposte che offrono i servizi di Caritas rispondono a bisogni immediati: un pasto caldo, una doccia, un luogo dove trascorrere il tempo durante il giorno, un letto dove ripararsi per la notte. «Le persone, però – dice Sergio – non sono chiuse nei limiti delle loro necessità, sono molto di più. Occasioni come queste aiutano a ricordarlo. Il livello così alto dell’esperienza è stato possibile grazie al lavoro di Laura Vitali, coordinatrice del Centro di ascolto diocesano, e Livia Brembilla, responsabile dell’area comunità di Fondazione Diakonia, che ringraziamo moltissimo».

Ogni visita ha lasciato una traccia: «Ero il primo a entrare in ogni museo – commenta Pierantonio – e l’ultimo a uscirne. Mi piaceva sostare davanti ai quadri, ci vuole tempo per osservare le immagini. Gli sguardi dei ritratti sono tutti diversi, ognuno è speciale, mi sembrava che mi osservassero, e questo mi ha fatto sentire felice. Mi hanno fatto pensare a me stesso, anch’io ogni tanto mi perdo a guardare nel vuoto. Prima di partecipare alle gite della Caritas non ero mai entrato in un museo, forse mi era capitato alle scuole medie».

Mansari, un altro dei partecipanti alla gita, viene dal Marocco ma si trova in Italia da 25 anni: «Ho trascorso dieci anni a Brescia, dal 1998 al 2008, ma non conoscevo nessuno dei luoghi che abbiamo visitato. Mi è piaciuto entrare in contatto con l’arte antica e con opere che non conoscevo, soprattutto quelle di Moretto e Romanino. Ho seguito con piacere le storie dei Santi anche se non appartengono alla mia tradizione, perché sono musulmano. Sostando davanti ai quadri pensavo a quanto tempo e quanta pazienza sono costati a chi li ha realizzati».

Entrare in sintonia con gli altri, in un’atmosfera accogliente, è stato semplice anche per chi era “nuovo” dell’ambiente, come Lionel, educatore: «Si è creato un intreccio stimolante di storie, percorsi, identità culturali diverse».

Il tempo è volato, in un clima di entusiasmo: «Alla fine era un dispiacere salutarsi – osserva Pierantonio –. Mi sono detto: ma come, già finito?». Terminata la gita, però, è rimasta la consapevolezza del valore dell’amicizia, dei legami positivi, delle belle esperienze che regalano speranza: «Quando ti rapporti con le persone con sincerità e semplicità – conclude Mansari – non ci sono difficoltà. Sarebbe davvero bello se questo tipo di gite si realizzassero non solo con la Caritas di Bergamo ma in tutto il mondo, per mettere le persone in condizione di essere accolte così come sono, con la facilità di conoscersi e stare bene insieme».

© RIPRODUZIONE RISERVATA