Il piacere di leggere / Bergamo Città
Lunedì 19 Febbraio 2024
La lezione di Livia: impara a vivere senza poter vedere
LA RECENSIONE. Era facile cadere nel deamicisiano, nelle stereotipie consolatorie e tagliate con l’accetta, nella retorica del «la disabilità non esiste». Invece Greta Olivo, nel suo primo romanzo, «Spilli» (Einaudi, pagine 204, euro 18,50), trattando un tema difficile e delicatissimo come il progredire ineluttabile, in giovanissima età, di una malattia invalidante, evita scorciatoie illusorie, toni da favola o happy ending, semplificazioni «ideologiche».
Si muove, piuttosto, sul difficile, scivoloso crinale tra dura realtà e volontà di sopravvivenza, paura e spirito di adattamento, «arido vero» e speranza: nonostante tutto. Quell’equilibrismo da saltimbanchi dell’anima che ci riguarda, necessariamente, tutti. Livia, la protagonista, comincia molto presto a manifestare difficoltà di visione. Il romanzo segue il procedere della sua retinite pigmentosa durante l’adolescenza, dagli undici anni (primo riferimento anagrafico esplicito nel testo) al liceo. I rapporti di Livia con i compagni, dei compagni con lei, sono raccontati dentro una credibile zona grigia, un alveo di sana ambiguità, senza manicheismi, idealismi, Franti e Garroni. Esempio: Livia è in gita di classe a Torino. Diletta, sua compagna, la invita a partecipare a uno di quegli immancabili riti di piccola trasgressione, di appropriazione del proibito, a cui gli adolescenti in gita difficilmente si sottraggono. Livia: «Ero così felice che mi avesse incluso». Ma poco dopo Daniele, che è attratto da lei, le dà una versione poco rosea del fatto: «Se vi beccano e ci sei anche tu, la Cursi (prof accompagnatrice, ndr) non punirà nessuno».
Diletta, a sua volta, dipinge Daniele come un bugiardo che dice in giro che sta con Livia. Livia che non può neanche scrutare a fondo le espressioni dei compagni per capire dove stia quella verità che non verrà mai esplicitata.
Nonostante fatiche e difficoltà, Livia riesce a costruirsi spazi di autonomia, di indipendenza, ed il libro racconta questa sua inclinazione/determinazione a fare di testa sua, dalla gara di corsa in apertura (non solo ovvia metafora della vita), alle prime esperienze e frustrazioni amorose, alla gioia di ballare in discoteca. Il suo tentativo, finché possibile, di «intrappolare la luce».
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