La carestia in Sudan. Se la strage non è notizia

MONDO. Da mesi organismi internazionali e organizzazioni non governative lanciavano allarmi e appelli ai governi e alle opinioni pubbliche: il Sudan rischia una carestia dalle dimensioni devastanti, servono aiuti e va fermata la guerra

Moniti drammatici caduti nel vuoto. Domenica scorsa l’Onu ha dichiarato ufficialmente la presenza della carestia nel Nord della regione sudanese del Darfur. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) 25,6 milioni di persone stanno affrontando livelli di fame acuta: un numero impressionante. Negli ultimi 40 anni nel mondo sono state dichiarate solo quattro carestie: Sud Sudan (2017), Somalia (2011), Corea del Nord (1995) ed Etiopia (1984).

«I segnali di allarme erano presenti da mesi. Ora abbiamo la tragica conferma: donne, bambini e uomini sfollati stanno morendo di fame, malnutrizione e malattie» aveva detto nei giorni scorsi Mamadou Dian Balde, direttore regionale dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Il Sudan è il terzo Paese più grande dell’Africa. Ricco di risorse naturali e crocevia strategico fra Mar Rosso, Corno d’Africa e Sahel, è una zona d’interesse per molti attori regionali e globali anche per il ruolo che ha nei flussi migratori. Il conflitto è iniziato il 15 aprile 2023, innescato dalla rivalità tra due fazioni militari alleate al governo: le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid support forces (Rsf) comandate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo.

Nel 2019 la mobilitazione di massa della società civile aveva portato alla rimozione del dittatore Omar al-Bashir, segnando la fine di uno dei regimi più longevi in ​​Africa. Al-Bashir fu sostituito da Abdollah Hamdok, sostenuto dagli Stati Uniti, che avrebbe dovuto guidare il Paese verso una transizione democratica mai realizzata. Quando il nuovo primo ministro promosse una riforma dell’esercito per epurare le forze militari rimaste fedeli all’ex regime, tra cui le Rsf, queste ultime hanno preso il potere con un golpe, il 25 ottobre 2021.Da allora, il generale al-Burhan ha interrotto la transizione democratica, istituendo il Consiglio sovrano di cui era a capo con Dagalo, secondo in comando. L’alleanza però si è interrotta quando il primo, accettando un accordo internazionale per restituire la guida a un’amministrazione civile in cambio di aiuti economici, ha deciso di far confluire le Rsf nell’esercito regolare sudanese. Una scelta avversata da Degalo che temeva di perdere il suo potere.

Da allora le due fazioni si combattono senza alcun riguardo per la popolazione . Gli uomini delle Rapid support forces in particolare saccheggiano, stuprano, praticano pulizia etnica avanzando alla conquista di terre e di supremazia: in Darfur la situazione è peggiore rispetto al 2005, quando la regione fu preda delle violenze dei «janjaweed», si muore di fame e di esecuzioni di massa.

Il Sudan è fortemente dipendente dall’agricoltura, con quasi il 65% della popolazione che lavorava in questo settore. «La carestia può essere fermata, ma una cessazione immediata delle ostilità è un primo passo essenziale. La pace è un prerequisito per la sicurezza alimentare e il diritto al cibo è un diritto umano fondamentale» ha dichiarato il direttore generale della Fao, Qu Dongyu. L’agenzia delle Nazioni Unite ha avviato una campagna per la distribuzione di sementi a 1,2 milioni di famiglie in vista della stagione di semina. Ma serve un impegno più grande, proporzionato alle dimensioni dell’immane tragedia. In 16 mesi la guerra ha prodotto 100mila vittime civili. «Con le spaventose atrocità, la fuga forzata di oltre 10 milioni di persone dall’inizio del conflitto la mancanza dei servizi più elementari per un’ampia percentuale della popolazione, la più urgente catastrofe umanitaria del mondo cresce e si aggrava ogni giorno di più, minacciando di inghiottire l’intera regione» ha denunciato ancora Mamadou Dian Balde.

Ma la carestia dichiarata non è stata considerata notizia dai nostri media nazionali che non ne hanno dato conto. Il conflitto in Sudan è la terza grande guerra in corso nel mondo, insieme a quelle russo-ucraina e israelo-palestinese allargata all’Iran e agli Hezbollah libanesi. Però è lontana e non coinvolge l’Occidente, quindi è scivolata nell’oblio, non degna di dibattiti o mobilitazioni. Eppure ci riguarda, non per le possibili migrazioni che genererà ma perché è a rischio il destino di milioni di persone, la vita.

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